Se l’autunno sarà caldo…
Si preannuncia un autunno caldo, nonostante l’estate non sia stata baciata da temperature gradevoli; fuor di battuta, nei prossimi mesi, è molto probabile che, nel nostro Paese, il dibattito politico venga a concentrarsi su alcune questioni di grande impatto sociale.
Infatti, per far fronte al buco di bilancio, appare probabile che l’Esecutivo intervenga sui dipendenti pubblici e sui pensionati, attraverso due operazioni che rischieranno, seriamente, di mettere in crisi il rapporto fra il Governo Renzi ed i sindacati.
Appare possibile che il blocco degli stipendi dei dipendenti pubblici possa essere prorogato fino al 31 dicembre 2016, così come è, ormai, certo che l’Esecutivo interverrà sulle pensioni “alte”, per detrarne un 10%, che andrà a finanziare la soluzione dell’annosa questione degli esodati.
A tal riguardo, appare inquietante il fatto che il Ministro delle Politiche Sociali consideri “alta” una pensione di 1500/2000 euro al mese, che invece, a parer nostro, è appena sufficiente per assicurare una vita dignitosa a quanti hanno dedicato al lavoro gli sforzi di molti decenni della loro vita.
Se tali scelte saranno confermate alla ripresa autunnale, è ipotizzabile che il Presidente del Consiglio sarà messo sul banco degli accusati dalle forze sindacali, che già hanno promosso un ricorso contro la politica governativa, in materia di contratti di lavoro, visto che la disciplina, che intende introdurre la maggioranza parlamentare, riformando lo Statuto del 1970, andrebbe ad incentivare la precarietà e tutte quelle tipologie di lavoro subordinato, che assicurano un minor numero di garanzie ai lavoratori, nonostante esista una copiosa normativa comunitaria che va nel senso opposto.
È ovvio che, in un momento di difficoltà economica, come quello presente, si debba far cassa e, dunque, è inevitabile che pensionati ed impiegati pubblici, prima di altri, paghino un prezzo salatissimo sull’altare del risanamento finanziario dello Stato italiano, ma appare altrettanto evidente che tutte le misure, finora messe in essere, siano dei semplici palliativi, che servono a curare il momento emergenziale, ma non risolvono, in modo strutturale, la delicata problematica dei conti statali, cronicamente, fuori controllo.
È lapalissiano che, quando lo Stato si trova in disagio, innanzitutto agisca sul costo del lavoro, perché deve ridimensionare le uscite, dovute ai salari, che versa all’alto numero di dipendenti della Pubblica Amministrazione.
Non possiamo, però, dimenticare che, in taluni settori in particolare, già molti tagli sono stati fatti dai precedenti Governi, allo scopo di determinare minori uscite a carico della Ragioneria Generale; non possiamo non ricordare, ad esempio, la riforma Gelmini che, nel settore della Pubblica Istruzione, ha causato una contrazione dell’organico dei docenti, visto che la revisione dei quadri orario ha comportato una diminuzione delle ore settimanali di lavoro, in particolare nei segmenti della scuola primaria e della secondaria di secondo grado.
Il vero problema è, dunque, a monte, se i tagli, già effettuati in questi ultimi anni, non hanno generato un miglioramento delle finanze pubbliche, né sul fronte del deficit, né su quello del debito: non sarebbe opportuno, forse, che venisse effettuata una seria azione di controllo, mirata al recupero delle ingenti cifre di danaro, che non vengono incassate dall’Erario, a causa dell’evasione e dell’elusione fiscale, così da rendere meno critica la situazione dei conti statali?
Altresì, per ovvie ragioni di mera opportunità politica, non ci appare ragionevole prelevare ulteriori ricchezze da quanti, avendo lavorato alle dipendenze dello Stato o di un privato datore di lavoro, hanno maturato ed acquisito diritti loro riconosciuti, finanche, dalla Corte Costituzionale, per cui qualsiasi iniziativa legislativa, volta a creare una condizione impari fra le varie categorie di pensionati, rischierebbe di essere bocciata dalla Consulta, sempre molto attenta a far valere le prerogative costituzionali in materia previdenziale.
Siamo sicuri che Renzi non voglia perdere il consenso ampio, ottenuto alle recenti elezioni europee, per cui si guarderà bene dall'alimentare un contenzioso con la C.G.I.L. e con tutte le altre sigle sindacali, sapendo bene, inoltre, che un eventuale clima di conflittualità sociale non solo causerebbe un crollo della sua popolarità, ma soprattutto favorirebbe, nel Paese, la nascita di una sfiducia diffusa nelle istituzioni, con cui nessuna classe politica vuole, presumiamo, fare i conti.
Tornerà la capacità di mediazione, dunque, a Palazzo Chigi?
O, forse, gli Italiani – contrariamente a quanto finora si è creduto – dovranno sperare nel commissariamento del Governo nazionale, da parte della trojka europea, per ambire più credibilmente ad un po’ di equità sociale?
Rosario Pesce