Un omaggio a Paolo VI
Fare un omaggio ad un Pontefice, nel giorno della sua beatificazione, può essere esercizio retorico, visto che l’assunzione fra i beati dello stesso presuppone un investimento, culturale e spirituale, notevole da parte della Chiesa, che oggi è sul banco degli imputati per le divisioni al suo interno, che la percorrono su molti temi.
Infatti, la beatificazione del Papa, che chiuse l’esperienza del Concilio Vaticano II, coincide con il Sinodo più tormentato degli ultimi anni, nel corso del quale la linea di Francesco, tesa a riconoscere i giusti diritti alle coppie di fatto, omo o etero-sessuali, ha incontrato l’opposizione fiera di una minoranza, non trascurabile, di cardinali e vescovi, non intenzionati ad accogliere nel popolo di Dio quanti sono reduci da un matrimonio fallito e vogliono comporre una nuova famiglia ovvero coloro che hanno un orientamento sessuale diverso da quello più comune nella società odierna.
Papa Francesco ha descritto nel corso dell’omelia il suo predecessore come il campione del cambiamento, benché lo stile ed i contenuti dell’azione dei due Pontefici siano notevolmente diversi fra loro, dal momento che lo spirito misto di gesuitismo e francescanesimo è una prerogativa esclusiva di Bergoglio.
Paolo VI fu, sicuramente, un Pastore molto dotto, molto più di Giovanni XXIII e di Giovanni Paolo II, che pure si sono contraddistinti per altri meriti.
Egli fu, dunque, il primo Papa con uno spessore teologico notevole nel corso della seconda metà del Novecento, peraltro investito dell’alto ufficio di portare a conclusione il Concilio, in un clima nel quale la Chiesa era - come oggi - attraversata da divisioni molto profonde circa la posizione dogmatica da assumere rispetto alla società dell’epoca, impegnata a realizzare un profondo e caotico mutamento.
All’interno dell’Assemblea di vescovi e cardinali, infatti, sono sempre esistite due correnti nettamente separate: da una parte, i conservatori, molto ligi nel rispetto formale della lettera delle Sacre Scritture e nella difesa dei valori sottesi a quel testo; dall’altra parte, invece, gli innovatori, in ogni momento pronti a fare i conti con le novità, per evitare che la Chiesa divenga obsoleta e decontestualizzata dalla cornice storica in cui si trova ad agire.
Questa contraddizione è stata, in qualche modo, risolta da Paolo VI e da Francesco in due maniere molto differenti: il primo ha agito in virtù dell'enorme spessore culturale - che non era affatto celato - per cui l’autorevolezza delle sue parole sorgeva dalla profondità dei pensieri espressi, mentre Francesco tende a superare le opposizioni, che gli vengono mosse, in virtù della sua carica carismatica, forse maggiore, finanche, di quella di Giovanni XXIII.
Quindi, ancora una volta, il Papa in carica beatifica un suo predecessore, sull’altare più importante della Chiesa Romana, al fine di rafforzare la propria posizione nel dibattito fra le gerarchie ecclesiastiche.
Questa volta, però, c’è un’anomalia: fra i due Papi, quello vivente e nell’esercizio delle sue funzioni e quello morto e beatificato, esiste un terzo successore di Pietro, Benedetto XVI, che, pur non svolgendo in modo attivo il compito di amministratore del potere petrino, comunque è un punto di riferimento per quanti tentano di delegittimare l’autorevolezza di chi riveste l’alta funzione papale.
Infatti, le immagini trasmesse dalla televisione hanno dimostrato, plasticamente, l’imbarazzo dei partecipanti ad una cerimonia nel corso della quale il mondo intero guardava con curiosità a due Pontefici, quello che esercita le funzioni, per cui è stato eletto, e l’altro, invece dimessosi per sua scelta.
Forse, sono questi i volti più autentici delle contraddizioni attuali della Chiesa?
Forse, Paolo VI è la più giusta sintesi fra due spiritualità, Francesco e Benedetto XVI, molto distanti l’una dall’altra?
Forse, il messaggio più autentico del Concilio non è stato - finora - concretizzato, per cui la beatificazione di Paolo VI è il migliore viatico per rimuovere opposizioni e reticenze, che tendono a non scomparire, anche di fronte all’evidenza dei cambiamenti epocali in atto?
Rosario Pesce