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La questione cattolica

L’inizio del Meeting di Comunione e Liberazione è un’occasione utile per porre l’accento su una questione mai sopita nel nostro Paese, quella cioè rappresentata dalle forme e dai modi della partecipazione politica dei Cattolici alla vita pubblica. 
È il primo meeting, dopo molti decenni, al quale non partecipa né il Premier, né alcun altro rappresentante dell’Esecutivo in sua vece e ciò è una novità assoluta, dal momento che Comunione e Liberazione intrattiene – come è legittimo – rapporti costanti con il mondo delle istituzioni ai più alti livelli. 
D’altronde, la fine del bipolarismo, causata dal crollo della Seconda Repubblica, ha fatto sì che esponenti di CL siano presenti in quasi tutti i gruppi parlamentari, da Forza Italia al PD, dal Nuovo Centro Destra alla formazione Popolare di Casini e Monti. 
Pertanto, oggi, molto più di qualche anno fa, si può dire, con certezza, che sia finita la stagione dell’appartenenza dei Cattolici ad un solo schieramento, cosa che in Italia è sempre stata praticata dal 1948 fino al 1992, quando c’era l’obbligo morale per loro di identificarsi in quel partito, la Democrazia Cristiana, che recava la vocazione religiosa nel suo stesso nome, pur non essendo un movimento strettamente confessionale e pur essendo governato, dunque, secondo criteri di assoluta laicità, per cui le gerarchie ecclesiastiche, invero, ne condizionavano la vita, ma, in ultima analisi, il ceto politico assumeva le decisioni più importanti in autonomia, soprattutto quando erano in gioco le alleanze parlamentari: un esempio su tutti è costituito dall’avvio del Compromesso Storico, deciso da Moro nel 1976, nonostante le gerarchie del Vaticano fossero contrarie all’entrata dei Comunisti, prima, nella maggioranza e, poi, eventualmente nel Governo. 
Dopo la fine di quel sistema, a partire dal 1994 in poi, i Cattolici hanno avuto, finalmente, riconosciuta la libertà di partecipazione e di scelta, anche se i vertici di CL hanno simpatizzato spesso con la Destra, orientando così gli adepti, visto il loro insediamento in Lombardia, dove hanno potuto contare sulla forza di un Presidente della Regione, Formigoni, che è stato legittimamente espressione di quell'area, tant’è che - nel corso degli anni - ha assunto il soprannome di “Celeste”. 
Poi, con il crollo di Berlusconi, i Cattolici, che avevano militato nel partito del proprietario di Mediaset, hanno avuto margini di scelta ben maggiori rispetto al recente passato, per cui si può dire che essi, al momento, siano presenti in tutte le formazioni di ispirazione centrista ed, invero, sono protagonisti autorevoli della vita istituzionale molto più di prima, perché la loro presenza, nei posti di vero potere, risulta più radicata e diffusa. 
Cadute le pregiudiziali di natura ideologica e culturale, è chiaro che la dinamica della partecipazione cattolica alla vita politica proceda secondo logiche secolarizzate, per cui nessun’associazione o gruppo di potere, che si richiami ad una matrice confessionale, avverte più il bisogno di sponsorizzare una sola parte, ma è sorta, evidentemente, la necessità di dialogare con tutti, anche da posizioni importanti all’interno di ciascun partito o schieramento dell’arco parlamentare odierno. 
Su questa nuova determinazione, a cui sono arrivati i rappresentanti cattolici, dapprima politicamente organizzati in partiti e correnti, certo ha contribuito il Papato di Francesco, il quale ha impresso una svolta notevole alla storia dell’intero movimento religioso; infatti, prima dell’avvento del nuovo Pontefice, la Curia Romana è apparsa schierata in modo eccessivamente ridondante, mentre il rinnovato clima di spiritualità impone ai Cattolici di ispirare le scelte politiche in base al punto di vista della propria morale, ma rispettando la distanza - che è giusto che ci sia - fra politica e religione, a meno che non si voglia correre il rischio di esporre le azioni più nobili, dettate dalla moralità cristiana, alle distorsioni - tipicamente umane - dell’agire politico ed imprenditoriale. 
La mancata presenza del Presidente del Consiglio al Meeting di CL, dunque, rappresenta un fatto positivo, perché sta a significare il rilancio di un intero movimento, che preferisce agire nella prospettiva dei propri obiettivi spirituali, lontano dalle luci della ribalta istituzionale, anche perché è ragionevole che un’occasione di approfondimento culturale ed un momento di preghiera non diventino uno show, come pure ha rischiato di divenire negli anni scorsi il Meeting, quando la stampa specializzata lo seguiva in attesa di ricevere dal dibattito, che si svolgeva in quella sede, utili indicazioni per intuire le linee di massima della vita parlamentare autunnale. 
È più giusto che gli uomini e le donne di don Giussani seguano gli insegnamenti nobili del loro Padre spirituale, incontrandosi in un luogo di altissima spiritualità, lontano da clamori, che danneggerebbero il senso originario dell’iniziativa. 
Forse, quanto è accaduto in ambito di CL è di monito per tutti gli altri ambienti cattolici del Paese, che avvertono forti le ragioni della militanza di fede e della presenza nei luoghi di più intensa socialità? 


Rosario Pesce

 

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