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È ‘nu pantano

Non ci fate caso, sono solo Chiacchiere di Comprensorio...

Scusatemi se di tanto in tanto me ne esco con qualche citazione, ma sono un intellettuale, ovvero uno che nun serve a niente, tranne a fa’ chiacchiere!

“Nulla è durevole quanto il cambiamento […] l’esigenza di cambiare. Tutto scorre, nulla resta immutato.”  Insomma, panta rei come sosteneva il filosofo greco, circa mezzo millennio prima di nostro Signore Gesù Cristo. Mezzo secolo fa, invece, ‘o nonno mi diceva sempre: “arrecuordati, guagliò, cà ogne scarpa addiventa scarpone!”

È cosa ovvia che il cambiamento sia parte strutturale della Natura: ‘o sanno pure ‘e creature che è la sola legge che tutto regola e governa. Opporsi a esso, non solo sarebbe contro natura, ma deleterio: significherebbe fermare l’evoluzione degli organismi che popolano e interagiscono in Essa. Eraclito, ricordava agli efesini, che “Nessun uomo entra mai due volte nello stesso fiume, perché il fiume non è mai lo stesso, ed egli non è lo stesso uomo.” Purtroppo, oggi, all’alba del Terzo millennio, non ci sono filosofi né nonni a ricordarcelo. L’acqua pura di fonte, che incessantemente scorre, il fiume della storia, da troppo tempo, ristagna nel pantano del governo, dove gli stessi uomini pretendono di bagnarsi nella medesima acqua, del medesimo fiume. Il nostro Paese altro non è che una palude, un acquitrino: caro Sommo poeta, il  Bel Paese, oggi, con rispetto parlando, dovremmo chiamarlo il Bel Pantano. Qui tutto ristagna. Sono decenni, forse secoli, forse non è mai mutato nulla – semmai qualcuno è stato ammutolito –, né con i re né con i repubblicani. Sempre la stessa acqua, putrida e melmosa, malarica, corrotta e putrefatta. Vivere in un pantano non fa bene a nessuno: né ai sudditi né ai sovrani; né ai cittadini né ai suoi rappresentanti. Come dice un vecchio proverbio popolare: Acqua cà nun cammina fa pantano e feta. Ormai ci siamo abituati al pantano, assuefatti al fetore che emana, da non avere neanche più l’aspetto dell’animale-politico, ma ci siamo ridotti a vivere tra girini, salamandre, libellule, gerridi, alligatori e roditori, poiane e albanelle, e soprattutto anofeli e culicidi. Anzi, sguazziamo nel pantano come una comunità d’ippopotami, socialmente legati tra di loro attraverso il rituale della “defecazione di sottomissione”. È inutile fare i nomi delle sottospecie di animali-sociali immersi in esso. Sono sotto gli occhi di tutti, sulle labbra da cui “il sì suona”, intonato da tutto il coro di auciélli disposti sui rami che sovrastano il pantano. E siamo noi ad avergli dato il ‘la’, affinché si accordassero tra di loro. Li abbiamo delegati noi a sguazzare nella melma paludosa. In fondo non c’è alcuna differenza tra il pantano e la palude: la nostra società è acqua che ristagna. Purtroppo, però, sentenziava il filosofo dell’antica polis ionica: “I porci godono della melma più che dell’acqua pura.” E soprattutto, è nel pantano che si sviluppa la “mal’aria”.

Alla prossima chiacchierata! E magari vi faccio pure nomi e cognomi de Gli impantanati.

Bona Jurnata!

Pasquino Arèteco

 

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