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Addio alla democrazia?

Grillo, che si è recato nelle strade del capoluogo ligure per aiutarli a spalare il fango.
I Genovesi presenti hanno invitato, in modo rude, il comico a lavorare, usando nei suoi riguardi il medesimo linguaggio già utilizzato verso il sindaco e che, probabilmente, userebbero verso qualsiasi altro esponente della casta politica, accusato di guadagni ingenti, mentre le persone comuni, vessate dalle tasse, sono costrette a risolvere da sole problemi, che avrebbero dovuto essere appannaggio dello Stato e degli Enti Locali.
È strano, molto strano invero che il comico genovese sia stato, dai suoi concittadini, equiparato nella protesta agli altri rappresentanti del mondo delle istituzioni: è il segno evidente che, ormai, Grillo non può cavalcare più il tema dell’antipolitica, visto che egli stesso subisce gli strali di una popolazione che vede, negli uomini delle istituzioni, un ostacolo e non un supporto in momenti di crisi, come quello che ha appena avuto come protagonista la città capoluogo di una delle regioni più belle d’Italia.
Quindi, nella protesta Grillo è associato a Doria o a Renzi o a qualsiasi altro esponente, locale o nazionale: tutti, agli occhi dei cittadini italiani, indistintamente sarebbero usurpatori del Bene comune.
Siffatta situazione non può che essere preoccupante, perché la delegittimazione dell’intero sistema democratico non è mai foriera di vantaggi per una comunità, come quella italiana, colpita da vicissitudini che, talora, hanno in sé qualcosa di tragico.
Infatti, il peggioramento delle condizioni di vita delle persone comuni non può che esasperare ulteriormente una condizione già grave, inducendo taluni a gesti clamorosi, molto più inquietanti delle offese lanciate contro Grillo ed il sindaco Doria.
Ormai, il popolo vive una condizione permanente di protesta, che si esprime in modi disordinati e, soprattutto, irrazionali: da Genova alla Sardegna, dall’Emilia alla Campania, dovunque si sia verificata una tragedia di rilievo significativo, la popolazione ha risposto fischiando i rappresentanti istituzionali e, talora, usando una veemenza inattesa contro di loro, che poteva sfociare, finanche, in forme di violenza collettiva, come nelle magnifiche pagine del Manzoni, quando l’autore milanese racconta l’assalto ai forni.
È notizia di oggi che l’Italia sia uscita, definitivamente, dalla ristretta cerchia dei dieci Paesi al mondo con il PIL più alto, in favore di Stati appartenenti a continenti ed aree emergenti: è molto probabile che, nei prossimi decenni, la nostra amata Italia non tornerà a far parte di quella graduatoria così prestigiosa.
Piuttosto, è verosimile che la situazione peggiori sensibilmente, per cui occuperemo nelle classifiche della ricchezza mondiale posizioni sempre meno vantaggiose, molto al di sotto della stessa media europea, dato che il Mediterraneo è - in tutti i sensi - il Mezzogiorno del vecchio continente.
Pertanto, è facilmente ipotizzabile che la rabbia dei nostri connazionali possa trovare sfogo in occasioni analoghe a quella che, ora, sta vivendo Genova: è, però, da sottolineare che quello che era considerato il campione dell’antipolitica, fino a dodici mesi or sono, venga equiparato agli altri e gli sia riservato il medesimo trattamento, che avrebbe subìto qualsiasi personalità del mondo dei partiti, di Destra come di Sinistra.
Il consenso si modifica così velocemente, che chi - fino ad un anno fa - era osannato e considerato come l’unico autentico portavoce della volontà popolare, oggi è invece vittima degli strali polemici toccati in sorte ai parlamentari, espressione dei partiti tradizionali.
Forse, la crisi economica velocizza la dinamica del gradimento popolare, per cui, nell’arco di dodici mesi, si consuma una leadership, che - in altre contingenze della storia italiana - sarebbe durata almeno un decennio?
Certo è che, agli inizi dell’autunno del 2014, il quadro politico generale è così fluido, che non si può ipotizzare ragionevolmente il nome di chi, nella prossima primavera, potrà essere il destinatario di un consenso molto ampio, come quello già incassato da Grillo nell’inverno del 2013 o da Renzi nello scorso mese di maggio, in occasione delle elezioni europee.
Una tale dinamica democratica fa bene allo Stato?
Arreca vantaggi alle istituzioni repubblicane?
Domande retoriche, queste, che lasciano insoluto un interrogativo di fondo: forse, per effetto della povertà solo incipiente, il popolo italiano inizia a gradire una dittatura soft ad un assetto democratico, accusato di non essere in grado di fornire risposte appropriate ai bisogni elementari delle persone comuni?


Rosario Pesce

 

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