Tempo Ordinario: Domenica 19.ma dell'Anno C (2024-25).
Nota introduttiva: L’omelia va preparata dal pastore dei fedeli, ai quali essa è rivolta, perché deve tener conto della Parola di Dio, del tempo liturgico e delle condizioni e bisogni dei fedeli; questa, che segue, potrebbe essere un’omelia rivolta a un uditorio di fedeli sconosciuti, perché tiene conto solo dei primi due elementi. Alla fine sono suggeriti altri temi possibili da sviluppare. Sono graditi suggerimenti per rendere più utili queste riflessioni (mons. Francesco Spaduzzi, francescospaduzzi@gmail.com)
Tempo Ordinario: Domenica 19.ma dell'Anno C (2024-25)
Introduzione. Sapienza ci ricorda che Dio venne a liberare Israele, facendolo suo popolo; Gesù in Luca ci invita alla vigilanza per entrare e restare nel Regno di Dio; Ebrei sottolinea il ruolo della fede nei Patriarchi e nella nostra vita per entrare definitivamente nel Regno di Dio.
I - Sapienza 18,6-9 - La notte della liberazione dall'Egitto fu preannunciata agli ebrei (6), perché avessero coraggio e si fidassero di Dio, sapendo bene a quali Suoi giuramenti avevano prestato fede e fedeltà (6); da Lui si aspettava la salvezza dei giusti e la rovina dei nemici (7); difatti come punisti gli avversari con la morte dei primogeniti egiziani e dell'esercito del Faraone, così glorificasti noi, chiamandoci a te (8) con la salvezza dei primogeniti ebrei e l'attraversamento del Mar Rosso, e la chiamata a entrare nell’alleanza con Lui. Nell'attesa i figli santi del popolo dei giusti celebravano il rito della Pasqua e offrivano sacrifici dell'Agnello in segreto. Si imposero, concordi, questa legge divina, di condividere allo stesso modo successi e pericoli, cioè la comunione fraterna fra di loro e anche la comunione con Dio, intonando subito le sacre lodi dei padri (9). La Pasqua col sacrificio dell’agnello e la liberazione con l’Alleanza animarono tutta la spiritualità ebraica. Noi abbiamo creduto in Dio uno e Trino e alla sua opera redentrice per mezzo del Figlio, che ci ha salvati allora con la sua pasqua e oggi coi sacramenti, che la prolungano nei secoli: una salvezza infinitamente superiore!
II - Luca 12,32-48 – 1 (a) Gesù si rivolge ai suoi discepoli, che sono un piccolo gregge (32), che crescerà, e li esorta a non temere (32) e a gioire, perché al Padre vostro del Cielo è piaciuto dare a voi, suoi figli, il Suo Regno (32), terreno e celeste. E’ il dono più importante di Dio: dandoci Gesù, ci ha già dato ogni cosa con Lui. (b) Ma Gesù dice che il Regno va conservato anche col nostro impegno: Vendete ciò che possedete… fatevi un tesoro sicuro nei cieli, dove il ladro non arriva (33) e nulla lo danneggia; e indica il modo: datelo in elemosina (33), le opere di misericordia. Ci avverte: Dov’è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore (34). La pratica dell'amore verso Dio e verso il prossimo sono indispensabili per entrare nel Regno dei Cieli. (c) Gesù invita a vigilare per tenersi pronti a rendere conto a Dio alla fine della vita e del mondo; perciò racconta la parabola dei servi, che aspettano il loro padrone, quando ritorna dalle nozze (36), ignorandone l’ora (cfr. 36; 37; 38): devono tenersi in tenuta da lavoro (35). Beati quei servi, che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli (37) e pronti (35) ad accogliere lui e la sposa: li farà mettere a tavola e passerà a servirli (37) a mensa; non lo fanno i padroni terreni, ma Dio sì, come Gesù, venuto a servire e non a essere servito (Mc 10,45; Gv 13,1-15). Gesù insiste sulla vigilanza anche con l'immagine del padrone di casa, che la protegge contro l’arrivo del ladro (39). Ci esorta: Anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo (40). Gesù viene come sposo (37) per farci partecipare alla sua felicità in Paradiso; ma vuole trovarci in grazia di Dio e in attività al servizio di Dio e dei fratelli.
2. Pietro chiede a Gesù se la parabola è per tutti o solo per gli Apostoli e successori (41); Gesù risponde con altra parabola che tale Parola va bene per tutti, ma specie per quelli che hanno responsabilità. (b) Un padrone, che si allontana, indica un servo affidabile, per distribuire ai compagni lavoro e cibo (42). Felice è il servo che fa il suo dovere e il padrone al ritorno lo trova impegnato (43), perché lo premierà (44); guai, invece, al servo che nota che il padrone tarda a venire e comincia a percuotere i servi e a sfrenarsi (45): il padrone di quel servo arriverà un giorno in cui non se l’aspetta e a un’ora che non sa, lo punirà severamente e gli infliggerà la sorte che meritano gli infedeli (46). A ogni pastore è affidato il proprio gregge, ai genitori la famiglia, agli amministratori locali e nazionali i cittadini, ai dirigenti di azienda i lavoratori, a ogni uomo i propri simili, specie i più vicini; ognuno deve rendere conto a Dio per come si è comportato con Lui e con i fratelli, perché tutti siamo servi dell’unico Dio e dobbiamo prenderci cura gli uni degli altri: familiari, parenti, amici, conoscenti o sconosciuti, buoni e cattivi. Se li amiamo e li aiutiamo, Dio si compiacerà di noi e ci ricompenserà; altrimenti saremo puniti. Chiediamo perdono per il male fatto e per il bene fatto male e per il bene non fatto; ripariamolo e correggiamoci. (c) Gli ultimi versetti insegnano che tutti i servi infedeli subiranno il castigo, ma proporzionato alla gravità della colpa: più conoscono la volontà di Dio, più colpevoli sono se non la compiono e più severo sarà il castigo (47); se la si conosce meno - anche per negligenza -, meno severo sarà il castigo (48). In effetti A chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto; a chi fu affidato molto, sarà richiesto molto di più (48): Dio chiede conto con maggiore severità a chi ha dato o affidato di più in beni e doni naturali e soprannaturali. E’ un ulteriore richiamo alla nostra responsabilità, specie per i pastori della Chiesa.
III - Ebrei 11,1-2.8-19 – (a) L’A. dichiara: La fede è… prova di ciò che non si vede, cioè delle realtà che non vediamo al presente, ma vedremo, e fondamento della speranza, di ciò che si spera (1), che non si ha ancora, ma si avrà. Avere fede significa quindi esser convinti che possiamo fidarci di Dio, perché Egli dice la verità e mantiene le sue promesse: Sara ritenne degno di fede colui che glielo aveva promesso (11); talvolta ci sarà da aspettare, anche parecchio. Ora Per questa fede i nostri antenati sono stati approvati da Dio (2), gli sono stati graditi. E noi ne dobbiamo seguire l’esempio. (b) L’A. ricorda che Per fede, Abramo fu chiamato da Dio e obbedì partendo per un luogo ignoto, che doveva ricevere in eredità (8). Sara con Abramo continuò a credere, sebbene fuori dell’età generativa (11), e così ricevette la possibilità di diventare lei madre e lo sposo padre (11). Per questo da un uomo solo e inoltre già segnato dalla morte generativa, nacque una discendenza numerosa (12). In seguito Per fede Abramo, messo da Dio alla prova nella sua la fede, offrì Isacco in sacrificio, e proprio lui, il suo unigenito figlio, che aveva ricevuto le promesse (17): Mediante Isacco avrai una tua discendenza (18). Egli si fidò di Dio perché onnipotente e capace di far risorgere il figlio anche dai morti (19). Per questo lo riebbe anche come simbolo (19), segno prefigurativo della morte e resurrezione di Gesù e della nostra. Ammiriamo la fede di Abramo e Sara. (c) Altra prova di fede fu il viaggio con la permanenza di Abramo in Palestina: soggiornò nella terra promessa come in una regione straniera…, come anche Isacco e Giacobbe, coeredi della medesima promessa (9); Dio l’avrebbe data solo 400 anni ai loro discendenti: Nella fede morirono tutti costoro, senza aver ottenuto i beni promessi (13), ma li videro e li salutarono solo da lontano, dichiarando di essere stranieri e pellegrini sulla terra (13), loro dovuta. Chi parla così, mostra di essere alla ricerca di una patria (14), che non era la Mesopotamia, dove era facile tornare (15), invece essi aspirano una patria migliore in assoluto, cioè a quella celeste la (16) che è la città dalle salde fondamenta, il cui architetto e costruttore è Dio stesso (10) che l’Ha preparato… per loro (16). Dio è contento della loro fede e non si vergogna di essere chiamato loro Dio (16). Ammiriamo e imitiamo la fede, speranza e carità, di uomini e donne, che per secoli hanno atteso da Dio la realizzazione delle promesse e Gli sono rimasti fedeli, sostenuti dalla sua grazia.
EUCARESTIA. È il banchetto di Cristo, che si fa in questo mondo, ma è anche anticipo e caparra di quello eterno con la Trinità, che ci renderà partecipi della salvezza eterna: saremo con la Vergine Maria e S. Giuseppe, con gli Angeli e Santi del Cielo, ai quali ci raccomandiamo perché ci sostengano nel cammino verso la vera patria, quella celeste. (mons. Francesco Spaduzzi)
Altri Temi: 1. Al Padre vostro è piaciuto dare a voi il Regno (32). Nell’unico Regno di Dio distinguiamo due fasi: quella terrena, che possiamo identificare con la Chiesa, e quella celeste, che possiamo identificare col Paradiso. Per entrare nel Paradiso occorre far parte della Chiesa, non necessariamente in modo visibile, ma anche soltanto in modo invisibile, stando in grazia di Dio.
2. Vendete quello che possedete e datelo in elemosine (33). Tutti sono obbligati ad avere il cuore distaccato dai beni della terra, ma non tutti a lasciarli effettivamente: dipende dalla chiamata del Signore. Di qui l’importanza di avere l’accompagnamento spirituale che aiuti a discernere la volontà di Dio, evitando il rischio di considerare voluto da Dio quello che è nostro desiderio.
3. A chiunque fu dato molto, molto sarà richiesto (48). Dio ci fa i suoi doni e ci dà potenzialità, che dobbiamo sviluppare e mettere al servizio nostro e degli altri, e alla fine ce ne chiederà conto. E’ fondamentale prendere coscienza di questi doni – e ringraziarne Dio – ma anche metterli a frutto; diversamente danneggeremo noi stessi e gli altri e renderemo vano il disegno di Dio su di noi.
4. Come punisti gli avversari, così glorificasti noi (8). Sembra l’espressione di un sentimento solo umano di soddisfazione; in realtà per gli Ebrei gli avversari erano schierati non solo contro di loro ma anche contro Dio, perché non rispettavano i diritti di Dio e non ne osservavano le leggi, rifiutavano il disegno di Dio sul popolo ebreo e lo ostacolavano.
5. Per questa fede i nostri antenati sono stati approvati da Dio. (2). La fede è indispensabile per la salvezza dell’uomo: Senza la fede è impossibile essergli graditi; chi infatti si avvicina a Dio, deve credere che egli esiste e che ricompensa coloro che lo cercano (Eb 11,6), cioè deve credere almeno che Dio esiste e premia i buoni e castiga i cattivi. (mons. Francesco Spaduzzi)