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La salute, un bene primario...

Nella società moderna il bene primario dell’uomo, ancora più di quanto non lo fosse già nelle epoche precedenti, è rappresentato dalla salute, sia per ovvie ragioni economiche, che culturali e sociali. 
Il sistema della Sanità pubblica è, infatti, il pilastro più importante dello stato sociale, per cui la salute dei cittadini ha un costo altissimo per le casse statali, che cresce ancora di più quando queste subiscono ladrocinii di vario tipo, sempre più frequenti - purtroppo - nel campo medico-sanitario, dove le occasioni di truffa non mancano, vista la complessità dell’apparato necessario per garantire le prestazioni alla persona. 
I costi sociali sono, per altro verso, più evidenti di quelli finanziari: girare per le corsie di un ospedale è una delle esperienze formative più alte che un uomo possa fare, dal momento che non solo si osserva il dolore dei pazienti – sovente, anziani – ma, soprattutto, si entra in contatto con il dramma dei familiari, che, non poche volte, vengono abbandonati al loro destino, privi di spiegazioni e di informazioni, effettivamente, utili circa la salute dei cari. 
C’è, poi, una riflessione che va approfondita, pur non riguardando solo la Sanità: come scriveva Weber, il Novecento è diventato il secolo degli specialismi, ormai tramutati in gabbie d’acciaio, così solide e blindate, che sono diventate vincoli non superabili dall’organizzazione sociale ed economico-produttiva. 
Nel campo della medicina tale condizione si amplifica: ogni medico – almeno, ciò è accaduto in non poche esperienze di cattiva sanità – studia il malato, unicamente, entro la lente del proprio specialismo, senza capire che esiste una cornice complessiva, in cui l’eziologia della malattia va necessariamente inserita, per evitare di curare solo gli effetti di un male e non le ragioni più forti, che ne sono a monte. 
In tale prospettiva, la Scuola Medica Salernitana era molto più avanzata di talune pratiche, assai diffuse, della medicina attuale: perdere di vista che il corpo dell’uomo è un “organismo” e che, come tale, vada trattato, spinge non pochi operatori sanitari a prendersi cura di una singola parte, senza avere una visione corretta ed olisitica del Tutto, come se l’Uomo fosse, meramente, una macchina e non un insieme originario, le cui parti interagiscono fra di loro, essendo l’una legata all’altra, proprio come nel famoso discorso di Menenio Agrippa. 
La scienza moderna, forse, scoprendo il meccanicismo e la matematizzazione dei rapporti in natura, ha compiuto un passo indietro rispetto ad un modello di sapere naturalistico, come quello medioevale, ancora magico-qualititativo, ma – per molti versi – più sensibile alla matrice “umanistica” di quello positivista del XIX e XX secolo? 
I dubbi non sono pochi e, certo, aumentano quando, poi, il discorso si amplia alla relazione corpo-psiche, che viene ad essere del tutto eradicata dalla prospettiva dei medici, che operano nelle corsie degli ospedali: una carezza, un sorriso, un abbraccio sarebbero, invero, un ottimo viatico per avviare un percorso terapeutico ed, invece, in molti ospedali si avvertono solo urla e spintoni, come se l’emergenza rendesse nevrotico chi, esercitando una professione sanitaria, invece dovrebbe esternare serenamente un approccio molto più costruttivo verso il malato e la sua patologia, sia verso quella manifestamente emergente, che verso quella più recondita, dal momento che qualsiasi disfunzione organica ha, a monte, la perdita di quell’equilibrio psico-somatico della persona, che la terapia dovrebbe ambire a ripristinare. 
Si ambisce ad un fine irraggiungibile se al cardiologo o all’urologo o all’internista viene chiesta la preliminare conoscenza dei principi generali della medicina (e non solo l’operatività tecnico-manuale nel suo settore specialistico, appresa per via meramente empirica) ed, in particolare, se gli si chiede – come la parola di origini greche “clinica”, etimologicamente, lascia intendere – che “si pieghi” sul paziente, per ascoltarne la voce e per capirne la nosografia, non leggibile solamente attraverso i dati numerici di esami ematici e strumentali, spesso mero specchietto di malattie che hanno un’origine sistemica e non strettamente meccanicistica? 
Rosario Pesce

 

 

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