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Tempo Ordinario: Domenica XXVI dell'Anno A

Nota introduttiva: Non si tratta di “omelia”, ma di riflessioni che vengono dalla meditazione della Parola di Dio e che possono offrire spunti per la  preghiera e meditazione personale e l’omeliaSono graditi suggerimenti per rendere più utili queste riflessioni


mons. Francesco Spaduzzi

francescospaduzzi@virgilio.it

Tempo Ordinario: Domenica XXVI dell'Anno A

  I - Matteo 21,28-32 - 1. Gesù racconta la parabola ai capi religiosi e civili del suo popolo, i membri del Sinedrio e i sacerdoti, chiedendo il loro parere sul comportamento di due figli (28 Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli); il padre dice al primo di andare a lavorare nella vigna (28 Si rivolse al primo e disse: “Figlio, oggi va’ a lavorare nella vigna”) e questi risponde seccamente che non ne ha voglia (29 Ed egli rispose: “Non ne ho voglia”), ma poi ci ripensa, si pente della risposta sgarbata e del rifiuto e va a lavorare (29 Ma poi si pentì e vi andò). Il padre si rivolge anche al secondo figlio e gli dice di andare a lavorare nella vigna (30 Si rivolse al secondo e disse lo stesso) e questi risponde cerimoniosamente di sì, ma non ci va (30 Ed egli rispose: “Sì, signore”Ma non vi andò). Gesù chiede agli ascoltatori chi dei due figli ha fatto la volontà del padre ed essi rispondono giustamente che è stato il primo (31 Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?». Risposero: «Il primo»). Ovviamente nella parabola il padre è Dio, che invita noi suoi figli a osservare i suoi comandamenti, a compiere la sua volontà. Non basta ascoltare la Parola di Dio e rispondere generosamente che vogliamo obbedire; è necessario effettivamente metterla in pratica. Tanti buoni propositi abbiamo fatti in vita e non li abbiamo mantenuti; altri li abbiamo mantenuti solo in parte. Con tutta la fede e l'amore, di cui siamo capaci, pentiamoci del male fatto, del bene fatto male e del bene non fatto. Affidiamoci alla misericordia di Dio per avere il perdono e per avere la grazia di riparare il male fatto e di comportarci bene per il futuro.

2.  Gesù applica la parabola ai suoi ascoltatori. Egli fa notare che Giovanni ha predicato la necessità del pentimento e della conversione per incamminarsi nella via della giustizia (32 Giovanni infatti venne a voi sulla via della giustizia), e arrivare alla salvezza, ma i capi ebrei non gli hanno creduto (32 e non gli avete creduto). Invece i pubblicani e le prostitute hanno creduto alla sua Parola (30 i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto): essi si sono pentiti e convertiti. I capi hanno visto la conversione di costoro ma hanno continuato a non credere al messaggio di Giovanni il Battista e a non pentirsi (32 Voi, al contrario, avete visto queste cose, ma poi non vi siete nemmeno pentiti così da credergli). Il risultato è che le prostitute e i pubblicani, giustamente considerati peccatori prima della loro conversione, sono entrati nel regno di Dio; i capi ebrei, invece, sono restati fuori perché peccatori non convertiti (31 E Gesù disse loro: In verità io vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio). L'invito a convertirci resta sempre attuale anche per noi, finché siamo in questo mondo, giacché sempre – purtroppo - pecchiamo. La penitenza è sempre di attualità per noi. La nostra morte al peccato o morte mistica è sempre necessaria fino a quando non ci raggiunge sorella morte fisica. La preghiera e la penitenza con la grazia di Dio aiutano e accelerano questa conversione.

II - Ezechiele 18,25 28 - Gli ebrei rimproverano a Dio di non agire rettamente (25 Voi dite: “Non è retto il modo di agire del Signore”). Ma Dio li invita a riflettere se non è sbagliato piuttosto il loro comportamento (25 Ascolta dunque, casa d’Israele: Non è retta la mia condotta o piuttosto non è retta la vostra?). E Dio spiega: se chi osserva la legge - e quindi è giusto -, smette di osservarla e di essere giusto, e ne riceve il castigo  con la morte, muore per aver commesso il male (26 Se il giusto si allontana dalla giustizia e commette il male e a causa di questo muore, egli muore appunto per il male che ha commesso). D'altra parte il malvagio, che non rispettava la legge ma si pente e si rimette sul retto cammino, vivrà per il bene che sta facendo (27 E se il malvagio si converte dalla sua malvagità che ha commesso e compie ciò che è retto e giusto, egli fa vivere se stesso); egli ha considerato con attenzione la sua vita, si è pentito, ha smesso di fare il male (28 Ha riflettuto, si è allontanato da tutte le colpe commesse): sfuggirà al castigo della morte, che meritava per i suoi peccati, e continuerà a vivere (28 egli certo vivrà e non morirà). In sostanza viene salvato da Dio solo chi fa il bene, cioè la volontà di Dio, espressa nella Legge di Dio, condensata nei dieci comandamenti e sintetizzata nei 2 precetti dell'amore, e persevera nel compimento del bene. Chi fa il male, non si pente e non si mette sulla via del bene, o chi faceva il bene e si mette sulla via del male, rischia di perdersi per sempre; costoro mostrano di non apprezzare tutto il bene che Dio ha dato loro durante la loro vita; non tengono in considerazione quanto Egli, il Dio fatto uomo, ha fatto e patito per la loro salvezza e non valorizzano la morte di Gesù per loro; per loro non conta niente che Dio li ami fino a sacrificare il Figlio per loro. E’ cosa molto triste.

III - Filippesi 2,1-11 – 1. S. Paolo scrive ai Filippesi una lettera, nella quale esprime tutto il suo affetto tenerissimo per loro, a cui aveva predicato la salvezza per mezzo della fede in Cristo; ma non tutto andava bene in comunità, come in tutte le cose umane. Perciò egli raccomanda di evitare la rivalità e la vanagloria (3 Non fate nulla per rivalità o vanagloria) e la ricerca del proprio interesse personale (4 Ciascuno non cerchi l’interesse proprio), ma di praticare l'umiltà, fondamento della vita cristiana personale e comunitaria, considerando gli altri superiori a se stessi (3 ma ciascuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a se stesso), e ricercare il giusto interesse degli altri, oltre il proprio (4 ma anche quello degli altri). Paolo li supplica e li scongiura per tutto quello che noi abbiamo ricevuto per mezzo di Cristo e troviamo in lui (1 in Cristo): la consolazione (1 Se dunque c’è qualche consolazione in Cristo), l'incoraggiamento frutto della carità (1 se c’è qualche conforto, frutto della carità), la comunione degli animi (1 se c’è qualche comunione di spirito), i sentimenti di amore e compassione (1 se ci sono sentimenti di amore e di compassione); li prega di dargli gioia perfetta (2 rendete piena la mia gioia), mentre è in carcere, realizzando l'unione dei pensieri e intelligenze nella fede (2 con un medesimo sentire) e dei cuori nella carità (2 e con la stessa carità, rimanendo unanimi e concordi). L’unità di pensieri e di sentimenti è possibile solo grazie all'umiltà (3), perché questa impone la rinuncia parziale o totale al nostro modo di pensare, che noi riteniamo sempre il migliore, e al nostro modo di amare, fondamentalmente egoistico, che abbiamo e nutriamo. Quanto abbiamo da correggere in questo campo!

2. Il modello di virtù, che Paolo propone alla loro imitazione, è proprio Gesù, che è anche sorgente di grazia per praticare tutte le virtù; li esorta a condividere gli stessi pensieri, sentimenti, affetti di Gesù (5 Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù). In particolare guardino all’umiltà, che Gesù ha praticata: pur essendo Dio (6 egli, pur essendo nella condizione di Dio), non ritiene ciò un privilegio (6 non ritenne un privilegio/ l’essere come Dio) da difendere, ma restando Dio creatore, assume la natura di creatura umana, che è serva del Creatore, e nasconde la sua divinità (7 ma svuotò se stesso/ assumendo una condizione di servo,/ diventando simile agli uomini). Portando avanti questo stile di umiltà per tutta la sua vita (7 Dall’aspetto riconosciuto come uomo), accetta una seconda umiliazione, ancora più grande, quando obbedisce al Padre fino a morire in croce (8 umiliò se stesso/ facendosi obbediente fino alla morte/ e a una morte di croce). Ma viene subito la risposta del Padre, che lo glorifica al massimo e lo esalta al di sopra di tutto, elevando la sua natura umana a una dignità divina: gli conferisce il nome e il titolo (9 Per questo Dio lo esaltò/ e gli donò il nome/ che è al di sopra di ogni nome), che era riconosciuto dagli Ebrei a Dio – Yahweh nell’AT: «Gesù Cristo è Signore!» (10); per questo titolo e dignità Gesù risorto ha diritto all’omaggio di ogni creatura, anche in quanto uomo glorificato (10 perché nel nome di Gesù/ ogni ginocchio si pieghi/ nei cieli, sulla terra e sotto terra); la glorificazione e il riconoscimento di Gesù come uguale a Dio è comunque e sempre per la gloria di Dio Padre (11 e ogni lingua proclami:/ «Gesù Cristo è Signore!»,/ a gloria di Dio Padre). Gesù è Dio e si umilia, diventando uomo e nascondendo la sua divinità e affrontando la morte di croce: e noi non accetteremo di farci umili, riconoscendo davanti a Dio e agli uomini che tutto abbiamo ricevuto da Dio e niente abbiamo di nostro? E, come  riconosciamo noi questo, dobbiamo essere contenti che lo dicano anche gli altri di noi. Chiediamo la grazia dell’umiltà, che è il fondamento della vita cristiana personale e comunitaria, ma si può sviluppare solo in chi accetta di crescere nella fede, come unità di pensieri in Cristo, e nella carità, come unità di cuori in Cristo.

EUCARESTIA. Nell’Eucarestia Gesù prosegue nella via dell’umiltà perché ora nasconde, oltre la divinità,, anche l’umanità e si mette a disposizione e al servizio di tutti. Ricevendolo nella comunione, non possiamo negargli la nostra disponibilità a seguirlo nella via di tutte le virtù e in particolare dell’umiltà. Chiediamo alla Vergine SS. e a S. Giuseppe, ai nostri Angeli Custodi e Santi Patroni di ottenerci la grazia di imitare Gesù in tutto. 

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