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La discussione su Doina Matei evidenzia uno scontro all’interno della cultura progressista

Caro direttore, sulla storia di Doina Matei, la ragazza romena che nove anni fa uccise la coetanea Vanessa Russo sulla metropolitana di Roma, è in atto uno scontro molto significativo all’interno della cultura progressista, una discussione che mette in forse (secondo me giustamente in forse) alcuni elementi fondamentali di quella che per anni è stata considerata la giusta linea da tenere nei confronti di chi delinque. Il senatore e sociologo Luigi Manconi, noto difensore dei diritti dei detenuti, sostiene che Doina Matei ha scontato una pena congrua (nove anni) per il suo delitto, che ha tenuto una buona condotta in carcere, che ha diritto a svolgere un lavoro esterno diurno, che ha diritto anche a sorridere e che chi critica il suo sorriso fa uso di un “cattivismo miserrimo da vagone ferroviario” (Della pena e del sorriso; Il Manifesto, 14/4/2016). La polemica di Luigi Manconi è evidentemente indirizzata in primo luogo contro Massimo Gramellini che ha scritto un corsivo di aspra critica nei confronti della ragazza rumena (Il caso Matei; La Stampa, 13/4/2016). Gramellini ha sostenuto che Doina Matei ha scontato pochi anni per l’omicidio commesso, che il fatto di farsi fotografare sorridente in costume da bagno e di mettere questa foto su Facebook denota una sensibilità molto scarsa e che quindi “Viene il sospetto che per lei la pena, oltre che breve, sia stata inutile”. La mia opinione è che abbia ragione Massimo Gramellini perché nove anni di detenzione per chi ha ucciso sembrano effettivamente poche e poi perché, come ha scritto lui, “se ammazzi una persona, dovresti almeno avere il pudore di tenere per te le tue emozioni gioiose, senza ostentarle e tantomeno condividerle con chi patisce ancora le conseguenze del tuo delitto”. Chi si comporta così (nonostante la buona condotta tenuta in carcere) fa effettivamente pensare che la pena scontata sia stata inutile.

 

Cordiali saluti

 

Franco Pelella – Pagani (SA)

 

 

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