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Una Pasqua in tono minore...

La Pasqua, che ci approssimiamo a vivere, è per la società italiana davvero in tono minore, rispetto a quella di qualche anno fa, non solamente per i rigori climatici, insoliti per la stagione in corso. Infatti, dovunque si vada, si avvertono i segni della crisi economica, di cui sono ben evidenti alcuni markers: negozi che chiudono; consumi che diminuiscono sempre più; centri commerciali affollati da persone che raramente acquistano, in attesa di svendite o di offerte commerciali generose. 
Ad avvertire la crisi, maggiormente, sono i due estremi generazionali della società: i giovani e gli anziani. I primi, infatti, hanno sempre minori opportunità lavorative, anche quando hanno portato a termine un percorso di studi, che risulti per loro qualificante; il dato, poi, di quanti né studiano, né lavorano non può che rendere, ulteriormente, drammatica la condizione di chi, oggi, si misura per la prima volta con le difficoltà della vita concreta. 
Ben più preoccupante è la condizione degli anziani; questi, fortunatamente, vedono allungarsi le loro prospettive di esistenza, ma sovente l’allungamento non coincide con un miglioramento effettivo delle condizioni generali di vita, perché sovente essi sono portatori di malattie che implicano - per la terapia e l’assistenza - elevati costi, che lo Stato tende sempre più a dismettere, visto che la pubblica finanza non consente, come in passato, elargizioni in quei settori, come la Sanità ed i Servizi Sociali, che richiedono, invece, un continuo gettito di danaro. 
Cosa fare, allora? 
Il dato più drammatico, che si percepisce, è l’assenza di speranza, come se molti Italiani fossero ormai sfiduciati ed aspettassero, solamente, un evento eccezionale in grado di modificare, in modo sensibile, l’ordine dei fatti storici; la politica, infatti, che prima era destinataria dei loro interessi, viene avvertita sempre più come dimensione lontana ed astratta, nemica del Bene comune ed, in gran parte, responsabile della situazione odierna. 
Le persone più avvedute, pur percependo la drammaticità dei giorni che stiamo vivendo, si rendono conto che non siamo, ancora, arrivati all’acme della crisi; infatti, oggi, nonostante tutto, esiste nel nostro Paese lo Stato sociale, che è dato per lo più dal sistema previdenziale, di cui godono coloro che sono andati in pensione nel corso dell’ultimo ventennio; quando queste persone non saranno più vive ed il sistema pensionistico sarà per tutti quello previsto dalle nuove norme, gli anziani, i nonni non potranno più offrire un contributo ai loro figli ed ai loro nipoti ed, allora, siamo convinti che la crisi si avvertirà nella sua pienezza, con toni ben più evidenti di quelli attuali. 
In una situazione siffatta, il punto di riferimento, che ancora regge in molte parti d’Italia, è la famiglia, l’unico vero ammortizzatore sociale, in grado di proteggere l’individuo dalle difficoltà sia di ordine economico, che morale; nei limiti di questa riflessione, contrariamente ai luoghi comuni, il Sud è più ricco del Nord d’Italia, in quanto la struttura familistica del Mezzogiorno, per decenni aspramente criticata dai ricercatori di scienze sociali, risulta essere un valido baluardo contro la crisi, in quanto luogo di assistenza e di rifugio per i più deboli. 
Siamo, però, convinti che lo Stato – compatibilmente con le esigenze di ordine finanziario – debba riprendere il suo protagonismo nell’aiuto ai più bisognosi; una società, come la nostra, destinata ad avere un’età media progressivamente più alta, inevitabilmente presenterà casi, sempre più frequenti, meritevoli di assistenza, che solamente un Ente pubblico può offrire, potendo contare su un’organizzazione e su risorse, che i privati mai metterebbero in gioco, dal momento che essi agiscono entro una logica, meramente, attenta al profitto. 
È auspicabile che la nostra classe dirigente, finalmente, programmi un piano di interventi, che sia strutturale e non vada soggetto alle incertezze dovute all’avvicendarsi delle stagioni politiche? 

Rosario Pesce

 

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