Tempo Ordinario: Domenica 14.ma dell'Anno B
Nota introduttiva: Non si tratta di “omelia”, ma di riflessioni che vengono dalla meditazione della Parola di Dio e che possono offrire spunti per la preghiera personale e l’omelia. Sono graditi suggerimenti per rendere più utili queste riflessioni
mons. Francesco Spaduzzi
francescospaduzzi@gmail.com
Tempo Ordinario: Domenica 14.ma dell'Anno B
I - Marco 6,1-6 - 1. (a) Gesù torna con gli Apostoli nella sua patria (1 Partì di là e venne nella sua patria e i suoi discepoli lo seguirono), Nazareth, il villaggio dove era venuto ad abitare al ritorno dall'Egitto ed era cresciuto con i parenti e i compaesani di Maria, sua madre, e di Giuseppe, suo padre putativo. Qui Gesù continua la formazione degli Apostoli, perché esperimentino successi e insuccessi del suo apostolato, il suo modo di predicare e i suoi contenuti, e ancora soprattutto il suo stile di vita e i suoi comportamenti con le persone, che entrano in contatto con lui. Anche noi dobbiamo metterci e restare per sempre alla scuola di Gesù con la meditazione della sua Persona, della sua vita, del suo insegnamento, del suo apostolato. (b) Gesù insegna il sabato nella sinagoga di Nazareth (2 Giunto il sabato, si mise a insegnare nella sinagoga). Aveva sempre insegnato ai suoi compaesani con la vita, con il suo buon esempio, osservando alla perfezione le leggi di Dio dell'AT e facendo bene i propri doveri, mostrando così il suo amore verso Dio e verso il prossimo; ora insegna anche con la Parola, fatto che li sorprende molto (2 E molti, ascoltando, rimanevano stupiti e dicevano: Da dove gli vengono queste cose?); perciò si interrogano sull'origine di questa scienza straordinaria, che Egli possiede senza aver mai frequentato le scuole dei rabbini e che manifesta ora per la prima volta in paese (2 E che sapienza è quella che gli è stata data?),; si chiedono anche da dove gli viene la capacità di operare miracoli (2 E i prodigi come quelli compiuti dalle sue mani?), di cui sentivano parlare dai paesi vicini. La risposta c'era ed era semplice se non fossero stati prevenuti contro di lui; Nicodemo la dà: ha il potere da Dio, perché suo inviato (Gv 3,2); però per essi conta la dimestichezza che hanno con lui: conoscono il suo mestiere di falegname o carpentiere o muratore (30 Non è costui il falegname…?) e la sua famiglia: madre (3 il figlio di Maria) e i cugini (3 il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone) e le cugine (3 E le sue sorelle, non stanno qui da noi?); arrivano fino a trovare in lui occasione di scandalo (3 Ed era per loro motivo di scandalo). Accettiamo Gesù come è, senza riserve: Egli è Dio e Uomo, Maestro e Salvatore. Il suo essere uomo e la sua apparenza modesta non devono essere ostacolo alla fede in lui.
2. I suoi compaesani non credono in Gesù e lui si meraviglia della loro mancanza di fede (6 E si meravigliava della loro incredulità) e conclude che è proprio vero che il profeta, un uomo comune scelto da Dio e reso speciale per la Sua chiamata e i Suoi doni, è rifiutato specie fra i suoi parenti e compaesani (4 Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua»). Ricordiamocene: è Dio che fa di un uomo comune un consacrato a lui e noi dobbiamo accettarlo come tale. Il sacerdote è uomo come gli altri, ma Dio lo consacra per mezzo del Vescovo; i suoi limiti personali non annullano la sacralità della sua parola e il valore salvifico delle sue azioni liturgiche. (b) A causa della poca fede dei paesani, Gesù può operare solo pochi miracoli di guarigioni (5 E lì non poteva compiere nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi malati e li guarì), non perché la mancanza di fede delle persone indebolisce la sua capacità di fare miracoli, ma perché Egli di solito condiziona i miracoli alla loro fede. (c) Gesù non è accettato nella sua patria come mandato da Dio e se ne va altrove a predicare e guarire (6 Gesù percorreva i villaggi d’intorno, insegnando). Riflettiamo a quanto i Nazaretani hanno perduto e che danno hanno fatto a se stessi, rifiutando Gesù: hanno perso tutte le ricchezze spirituali e materiali, che erano loro destinate. Anche noi stiamo attenti alle varie venute di Gesù in mezzo a noi; la nostra mancanza di fede, anche in una sola di esse, ci fa perdere ricchezze immense.
II - Ezechiele 2,2-5 - (a) Uno Spirito entra in Ezechiele e lo spinge ad alzarsi per rispetto davanti a Dio, che gli parla; il profeta si mette in ascolto (2 uno spirito entrò in me, mi fece alzare in piedi e io ascoltai colui che mi parlava) di ciò che Dio gli dice. Questo spirito può essere lo Spirito Santo, che ci apre il cuore e la mente all'ascolto di Dio, o anche un Angelo che spinge al bene; certo non può essere uno spirito cattivo, perché non orienterebbe al rispetto di Dio, ma piuttosto a ribellarsi a lui. Occorre saper discernere se un pensiero, che ci viene in mente, è buono o meno buono o cattivo: ciò è indispensabile fare il bene ed evitare il male. Preghiamo lo Spirito Santo di illuminarci caso per caso, o anche di farci trovare un uomo di spirito che ci aiuti a farlo. (b) Dio dice a Ezechiele che lo manda agli Ebrei, popolo di ribelli, che sempre ci sono rivoltati contro Dio, a cominciare da quando uscirono dall'Egitto (3, a una razza di ribelli, che si sono rivoltati contro di me. Essi e i loro padri si sono sollevati contro di me fino ad oggi), e poi hanno continuato per 700 anni su questa strada. Non c'è da sperare che obbediscano adesso proprio a Ezechiele, inviato di Dio, giacché sono figli ribelli a Dio padre e hanno cuore e mente, che sono diventati ben duri (4 Quelli ai quali ti mando sono figli testardi e dal cuore indurito). Il profeta deve proclamare: Tu dirai loro: “Dice il Signore Dio” (4), che è la formula per far capire che è Dio che parla per la bocca del profeta: non importa ormai se l'ascolteranno o no, perché è risaputo che si tratta di una razza di ribelli; quel che conta è che perlomeno sappiano che Dio ha mandato un profeta per salvarli (5 Ascoltino o non ascoltino – dal momento che sono una genìa di ribelli –, sapranno almeno che un profeta si trova in mezzo a loro). (c) Dio manda il profeta (3 Mi disse: «Figlio dell’uomo, io ti mando ai figli d’Israele; cfr. 4 e 5) per amore del suo popolo e non lo priva della sua Parola proprio per poterlo salvare. Questo amore è costante in tutto il corso della storia, perché sempre Dio trova il modo per fare arrivare al suo popolo la sua Parola per mezzo dei sacerdoti o dei profeti o dei sapienti. Ogni Sua parola e azione è espressione del suo amore e della sua Provvidenza per il popolo. In quest’ottica dovremmo leggere la Bibbia e interpretare l'insegnamento della Chiesa e le ispirazioni dello Spirito. (d) Il popolo risponderà anche questa volta con la ribellione a Dio (cfr. 3; 4; 5). E Dio, dopo 7 secoli di pazienza, permetterà il castigo di Gerusalemme con la distruzione della città e del Tempio e con l’esilio dei sopravvissuti a Babilonia; perdonati e riportati in Palestina, si ribellano ancora a Dio quando i capi ammazzano Gesù, Dio e uomo, Profeta e Salvatore; e si ripete il castigo. E noi siamo docili o ribelli a Dio? Come le nostre ribellioni ci attirano i castighi di Dio per aiutarci a correggersi e salvarci, così i nostri pentimenti ottengono la sua misericordia su di noi e sul nostro prossimo.
III - 2Corinti 12,7-10 – S. Paolo ha parlato dei grandi doni di rivelazione, che ha ricevuti da Dio, e già questo per lui potrebbe essere occasione di inorgoglirsi, quasi che i doni di Dio provenissero da sé o per i suoi meriti e non gli fossero stati dati per misericordia di Dio. Per evitare che la superbia esalti l’Apostolo e quasi per controbilanciare i Suoi doni, Dio permette che abbia una sofferenza nel corpo, qualcosa che gli viene da Satana, per schiaffeggiarlo e umiliarlo (7 affinché io non monti in superbia, è stata data alla mia carne una spina, un inviato di Satana per percuotermi, perché io non monti in superbia). Ciò gli provoca molta sofferenza interiore e perciò insistentemente prega Dio per esserne liberato (8 A causa di questo per tre volte ho pregato il Signore che l’allontanasse da me). Dio non l'accontenta, ma gli dà una più abbondante effusione di grazia (9 Ed egli mi ha detto: Ti basta la mia grazia) e gli rivela che la forza di Dio si manifesta pienamente nella debolezza dell'uomo (9 la forza infatti si manifesta pienamente nella debolezza), cioè quanto più l'uomo è debole e riconosce il suo nulla, tanto più Dio manifesta in lui la sua onnipotenza (cfr. 9-10, 1Cor 1,27). Nel corso della storia Dio ha manifestato la sua onnipotenza per mezzo di uomini piccoli o deboli, come S. Giovanni Bosco e Madre Teresa di Calcutta, che hanno realizzato opere grandi con mezzi molto piccoli, grazie agli interventi di Dio. Non sappiamo in che cosa consiste quella “spina”: alcuni hanno pensato a tentazioni di lussuria (Medioevo), altri alle persecuzioni da parte dei nemici della fede (Padri greci e latini e autori moderni), altri a malattia fisica, che rende difficile l'apostolato (autori antichi e moderni); altri a una sofferenza, collegata ai suoi fenomeni mistici, che hanno riflessi fisiologici, come è avvenuto in alcuni Santi. (b) Comunque la conclusione sorprendente di Paolo è che egli non si vanta dei doni straordinari di Dio - perché sono di Dio e non suoi -, ma delle sue debolezze, che sono veramente sue (10 Mi vanterò quindi ben volentieri delle mie debolezze), di modo che in lui possa essere presente e manifestarsi solo la potenza di Cristo (10 perché dimori in me la potenza di Cristo). Perciò egli trova il suo compiacimento in ciò che gli rende dolorosa la vita: Perciò mi compiaccio nelle mie debolezze, negli oltraggi, nelle difficoltà, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo (10); in effetti, quando avverte tutta la sua debolezza, allora si sente forte per la forza, che Cristo gli comunica (10 infatti quando sono debole, è allora che sono forte). I doni di Dio sono Suoi e noi dobbiamo attribuirli a lui; di nostro abbiamo solo la nostra debolezza e fragilità, che dobbiamo sempre riconoscere: questi atti di umiltà piacciono molto a Dio e attirano in noi i Suoi doni, che sono necessari per noi e per gli altri. I Santi hanno avuto pazienza nelle sofferenze, anche le più umilianti, perché esse non ci separano da Dio; anzi rafforzano la nostra unione con lui, perché ci fanno crescere nella fede, speranza e carità.
EUCARESTIA. In Essa si moltiplicano le presenze di Cristo, che può fare miracoli spirituali e materiali in noi, se portiamo la fede (e la carità) nell’incontro con lui. Tanti non ottengono grazie dal Signore perché la loro fede è debole. Chiediamo la grazia di condividere la fede di Maria e di Giuseppe e dei Santi, per ottenere l’abbondanza di grazie, che loro riuscivano a ottenere.