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“San Gennaro, fottitenne”

Questa fu la scritta, che apparve nel secolo scorso sulle mura del Duomo di Napoli, quando la riforma del calendario, ad opera della Chiesa, derubricò San Gennaro a santo di serie B, perché la sua ricorrenza venne trasferita al 1 novembre, per cui il culto del povero Patrono di Napoli rimase assorbito in quello di Ognissanti. 
La stessa cosa potrebbe essere scritta a seguito del decreto del Ministro Alfano, il quale, nei giorni scorsi, ha fatto una cosa gravissima, ponendo un fattore di discontinuità per la storia della città di Napoli e per l’intero movimento religioso. 
Si sa bene che il tesoro di San Gennaro sia uno dei più cospicui al mondo: esso, da secoli, viene gestito da una Deputazione, che è composta dagli ultimi discendenti dell’aristocrazia napoletana, per cui la gestione dell’immenso patrimonio, artistico e culturale, è affidato ad un organismo laico. 
Orbene, il decreto di Alfano, all’improvviso ed in modo improvvido, toglie tale onere alla Deputazione ed attribuisce tutti i beni alla diretta gestione della Curia, nel qual caso al Cardinale di Napoli. 
È evidente che un simile fatto, oltre ad interrompere una tradizione esistente dal lontano Seicento, di fatto trasferisce una notevolissima ricchezza dalle mani di un organismo, comunque, collegiale e laico a quelle di un potere monocratico e confessionale, qual è, appunto, il legale rappresentante della Curia partenopea. 
La notizia ha prodotto sgomento nella città napoletana, perché lo sgambetto, subito da San Gennaro, sembra un vulnus per la laicità di un culto, che in tutto il mondo è ben noto per il miracolo del sangue, che si scioglie, quasi sistematicamente, due volte l’anno, in occasione dei mesi di maggio e di settembre. 
È ovvio che la polemica giornalistica non è destinata a finire in pochi giorni, ma soprattutto ci sarà uno strascico di contestazioni molto forti, tese a restituire la proprietà dei beni al legittimo e storico proprietario, la Deputazione appunto. 
Chi vincerà, allora, fra il Cardinale e l’aristocrazia napoletana? 
È ovvio che, in un momento storico nel quale grandissima è la sensibilità mediatica intorno a tali temi, i giornali non potranno che dare eco ad un evento, che il popolo napoletano, abituato ad avere un rapporto particolare con la Fortuna, tradurrà certamente in un terno da giocare al Lotto. 
San Gennaro, però, non potrà, in questo caso, fregarsi di ciò che accade ai suoi beni materiali, destinati a passare di mano con un colpo proditorio del Governo, che fa un grandissimo regalo alla Chiesa di Napoli. 
Pertanto, possiamo immaginare come gli strali del Santo Patrono non potranno che abbattersi sul Governo, che ha messo in essere una dinamica, a dir poco, imprevista e scarsamente intelligente, tanto più in un momento storico nel quale alcune forze politiche, legittimamente, stanno lottando perché le ricchezze della Chiesa tornino allo Stato, sotto forma di giusto pagamento delle tasse e dei dazi, da cui invece gli Uffici religiosi sono, inopportunamente, esentati. 
Peraltro, in passato qualcuno ha anche tentato di consumare il sacco del tesoro di San Gennaro, ma il popolo napoletano ha sempre difeso la tradizione e, con essa, il diritto a poter fruire, almeno simbolicamente, di un bene pubblico e, soprattutto, laico, nonostante possa apparire un ossimoro, visto che stiamo parlando del Santo italiano più amato e venerato all’estero. 
Chi vincerà? 
La Deputazione o la Curia? 
Frattanto, speriamo che a vincere sia il popolo napoletano e che, nel prossimo mese di maggio, il sangue si sciolga: altrimenti, al Governo sarà - anche - addebitato il mancato miracolo, che – come è noto – non è, affatto, foriero di buone notizie. 



Rosario Pesce

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