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Solofra. Alcune considerazioni sulle prossime elezioni

Gentile Direttore,
nel ringraziarla dello spazio che garantisce alle voci libere di questa Città, mi preme l'esigenza di dover esprimere alcune considerazioni, al netto del periodo elettorale che a breve affronteremo.
Nella società odierna esiste una conflitto di idee, un'ambiguità su quali siano i modelli da evitare e quali, invece, quelli da far propri.
Ammetto di aver avuto io stesso difficoltà sul decifrare e distinguere gli uni dagli altri.
Dobbiamo essere chiari nel distinguere nettamente il datore di lavoro, l'imprenditore, dal padrone. Distinguere chi paga il giusto e garantisce i diritti e la sicurezza dei lavorati da chi, invece, specula e dissangua, dichiarando una cosa e facendone un'altra.
Dobbiamo stare chiaramente e nettamente dalla parte di chi esercita onestamente la propria professione, di coloro che al mattino alzano la serranda, consapevoli degli oneri e delle difficoltà che li aspettano, ma che creano valore economico e sociale nonostante tutto.
Dobbiamo stare dalla parte del volontariato senza se e senza ma! Al fianco di chi, senza alcun tornaconto, mette a disposizione se stesso, il proprio tempo e le proprie capacità al servizio del territorio, sacrificando spesso la sfera privata.
Non possiamo elevare a modelli evasori e teste di legno di turno. Prima o poi cadono, lasciando un vuoto emorragico nel tessuto territoriale, così come le promesse di un posto di lavoro cronometrato sulla tornata elettorale.
Guardi, non si tratta di una retorica questione morale e di decadimento dei valori di una società, ma più segnatamente di uno spartiacque tra ciò che fino ad oggi ci ha portato alla deriva e ciò che, invece, deve rappresentare la nostra ancora sulla quale virare di forza, per riprendere una rotta da troppo tempo smarrita.
L'isolazionismo nel quale siamo piombati ci espone alla perdita di identità e fiducia, alle speculazioni, (spesso poco sane) ed alla perdita di ogni possibilità di incidere sul piano territoriale.
Se già all'interno di una stessa compagine di governo non esistono i valori di collaborazione e condivisione (visione condivisa) degli obiettivi da raggiungere, non possiamo certo meravigliarci dinanzi al fallimento di ogni tavolo istituzionale e delle ragioni che chi fa politica di professione doveva, invece, far valere.
Abbiamo assistito alla puntuale e cinica defenestrazione di tutte le nostre ragionevoli e sacrosante istanze  relative ai servizi fondamentali e si è mostrato inutile, ormai, ogni tentativo di divincolarsi in ritardo, rispetto alle decisioni sovracomunali che venivano via via assunte dalle istituzioni.
Ci sono macerie al suolo, è evidente, ma non sono più quelle di un terremoto che ha devastato tessuto urbano e identità, sempre grazie alla complicità della cupidigia di pochi, bensì sono macerie dovute all'immobilismo, che uccide in modo pari alla cattiva gestione della cosa pubblica, con l'aggravante del silenzio assenso.
Come tradizione vuole, ad ogni tornata elettorale saltano fuori i più improbabili liberator patriae, gruppi e pagine social, venditori di fumo e ciarpame verbale e, come spesso accade, danno fiato alle trombe proprio coloro che dovrebbero mestamente e rispettosamente nascondersi in una cantina al buio. È un altro chiaro sintomo della crisi di valori a cui siamo stati abituati in questi decenni.
Da anni ci chiediamo quale futuro davvero debba toccare a questa nostra “amena vallata” e quante altre promesse saremo costretti a sentire. In fin dei conti non si tratta solo di noi, né di tutto il sangue e la fantasia gettati alle ortiche in questi faticosi anni dai pochi fattivi innamorati della Città, che non si ricordano di essere cittadini ogni cinque anni. Si tratta, piuttosto, della nostra radice identitaria e di ciò che intendiamo rappresentare domani.
Una frase di Theodor Adorno, a me molto cara, recita: “Non si tratta di conservare il passato, ma di realizzare le sue speranze". Quali sono le speranze se non i figli a cui lasceremo in eredità tutto questo? Da quando sono diventato padre è un pensiero che mi tormenta, molto più di quanto non mi tormentasse a diciotto anni. Da inguaribile ottimista mi sono ostinato a credere che un cambio di passo sia possibile, se solo ci decidiamo ad affidarci l’uno alle predisposizioni e competenze dell’altro, con onestà intellettuale e collaborazione sincera, perché venga consegnato alla genuinità dei giovani un territorio migliore di come è stato lasciato a noi e, soprattutto, perché non abbiano da ricercare altrove opportunità di autodeterminarsi.
Caro Direttore, probabilmente di me penserà che sono un idealista e un sognatore, ma in questo contesto pago lo scotto di essere cresciuto con gli esempi del sacrificio e delle azioni dei miei genitori e, si sa, la rettitudine è come una robusta trave di legno... può flettere o addirittura spezzarsi, ma non si piega.

 

A.D.

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