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Solofra ed il suo vicinato.

Una verde conca che tra i suoi confini annovera l’attuale Montoro, una città agli albori, ancora in cerca di una omologazione di fatto, costituita da diverse frazioni. La città di Solofra condivide i suoi lembi territoriali con le frazioni di Aterrana, Banzano e Chiusa. Morfologicamente distinte dalla pianeggiante valle, queste frazioni montoresi, fanno quasi da "spartiacque" tra Solofra e Montoro, frapponendosi tra due nature diverse. Per questa loro caratteristica e vicinanza con la città della concia, questi paesini hanno da sempre condiviso e scambiato ogni risorsa con Solofra.

Nel complesso e interrelato mondo del vicinato, le azioni dell'uno, inevitabilmente passano sotto lo sguardo attento, al vaglio e al giudizio benevolo o meno, dell'altro.

È ciò che accade anche tra luoghi vicini, tra comuni confinanti.

Tra le vie che collegano i luoghi, nella circolazione di persone e cose, nascono, crescono e cambiano i territori e i loro abitanti.

Ogni mutamento economico e sociale dell'uno, condiziona anche l'altro.

Un tempo i legami tra la vicina Banzano e Solofra si concretizzavano con gli scambi agricoli. Da antichi racconti banzanesi, le donne dopo aver raccolto i buoni “fichi” dalle vicine campagne, con in testa le loro ceste varcavano il confine solofrano, per la vendita dei dolcissimi frutti. La vicina Solofra era il profittevole mercato di sbocco. Prima degli anni “60 il collegamento tra Banzano e Solofra avveniva tramite la strada mulattiera posta tra la frazione montorese e Sant’Agata Irpina, oppure dalla collina passando per località Campopiano e S.Andrea.

Il sito anticamente più prossimo a Banzano era rinvenibile nell’antica fornace di Campopiano in territorio solofrano. Le antiche fornaci, ora in disuso e abbandono, erano il luogo fisico d’incontro tra i due vicini. Li vi si realizzavano manufatti in cotto, mattoni e vasellame (v. foto di un vaso del 1948). Nell’insediamento di Campopiano coabitavano fino agli inizi degli anni “50 famiglie di solofrani e banzanesi, dediti all’agricoltura e alla fabbricazione di manufatti nelle antiche fornaci. A prova di vita, insisteva sul luogo anche una scuola elementare per rendere più agevole la vita familiare e consentire l’alfabetizzazione degli infanti. Negli anni “60 fu realizzata la strada provinciale detta “Cerzeta”, che sostituì la vecchia mulattiera. La condizione economica favorevole, già prima del sisma, favorì una serie di scambi e relazioni commerciali tra le due realtà vicine. L’aumentata produzione di pellami e la necessità di decentrare alcune fasi di lavorazione delle pelli, come la inchiodatura e rifilatura, consentirono nel villaggio Banzano, l’impianto e la crescita delle piccole inchiodatrici. Ciò modificò radicalmente l’economia della frazione e la vita dei suoi dimoranti.

Dopo lo sviluppo economico degli anni “70 e l’evento sismico, il rapporto tra le due realtà si intensificò. La Cerzeta divenne la principale via di collegamento con Solofra, con il continuo e quotidiano via vai di inchiodatori e operai conciari. Negli anni “80 Solofra visse la parabola ascendente della sua tradizione conciaria. Tutti i suoi abitanti erano intenti a produrre pelli e loro manufatti. Produzioni elevate, mercati favorevoli e profitti consistenti, tanto da rendere necessario reclutare sempre più operai, terzisti, uomini di fiducia e ragionieri del vicinato. Una buona fetta di solofrani impegnati esclusivamente nel settore della concia e del suo indotto. Se questo consentiva e preparava ad una vita agiata, non lasciava però alcun spazio allo sviluppo di altre attività. Ciò, in sostanza, decretò Solofra come polo trainante di tutta l’economia del territorio che noi ora usiamo definire comprensoriale, frutto della grande abnegazione al lavoro dei padri artigiani unitamente alla capacità imprenditoriale e commerciale dei suoi abitanti. Le frazioni vicine coinvolte, divennero i suoi vasi capillari, non meno indispensabili al circolo virtuoso dell’economia conciaria.

Ma se dal lato relazionale le popolazioni vicine, ebbero modo di consolidare i loro rapporti di fatto, non si può dire che ci sia stata una intensa attività di collaborazione istituzionale tra i due territori. È tuttora evidente l’assenza di mezzi pubblici che collegano le due realtà, oltre a carenza di strategie e/o politiche di urbanizzazioni industriali e ambientali condivise. Due aree d’insediamento produttivo gomito a gomito e frizioni in materia d’inquinamento anche con la restante Montoro. Ma i contatti umani e gli interessi economici tra le vicine Solofra e Banzano, nel tempo, hanno reso fitto quel legame sociale e familiare, che ancora oggi li vede coinvolti.

Evocando quegli anni, ricordo e rammendo abitudini e circostanze a conferma del legame tra le due realtà. Solofra dava lavoro in modo massiccio a tutti, ma non riusciva a soddisfare un certo tipo di fabbisogno sociale, tanto che tipica era l’abitudine degli stessi di cercare svago nelle realtà vicine o nelle città di Salerno ed Avellino. Il solofrano veniva tacciato da sé stesso, come “amante del forestiero” perché alimentava le economie dei vicini. Questo modo di vivere la spesa e i momenti di svago si è radicata nel tempo diventando abitudine consolidata, che in determinati momenti anche recenti, non ha consentito lo sviluppo delle piccole attività commerciali del luogo. A conferma di questo, ricordo che dopo il lavoro quotidiano, molti giovani lavoratori conciari muniti di moto, vespe e automobili raggiungevano Banzano, per trascorrere momenti lieti nella centrale piazzetta “Sabino”.

Con le ospitali ragazze dell'epoca gustavano insieme, tra una chiacchierata e l’altra, pizzette al taglio e birra tedesca alla spina.

Si sopperiva anche così, negli anni “80, alla carenza di un pub o una pizzeria che assolvesse alla funzione di luogo d'incontro tra i giovanissimi. Banzano in quegli anni rappresentò, non per tutti ovviamente, quel luogo d’intrattenimento giovanile. La pizza a metro fu una idea importata da un emigrato banzanese rientrato dalla Germania.

Anche alcuni servizi all’economia mancavano!  Dopo il sisma, con la chiusura dell’hotel Elisa in Viale Principe Amedeo, non c’era sul posto un hotel che potesse ospitare i viaggiatori esteri e nazionali che per motivi commerciali interagivano con gli imprenditori locali. Ricordo che nel 1981 l’hotel di Banzano “Tre Castelli” ospitò per circa un mese asiatici in divisa di regime, camicia grigia con collo a pistagna, che ogni mattina venivano trasferiti nella vicina Solofra, per ovvie ragioni industriali/commerciali.

Invece, nel campo formativo si annovera l’effetto positivo su Solofra ed il suo vicinato, di una delle poche iniziative a servizio e per la crescita del comprensorio, la presenza sul territorio dell’Istituto tecnico commerciale

In quegli anni dal 1981/82 iniziarono ad iscriversi studenti banzanesi alla Ragioneria di Solofra. La sottoscritta era tra questi. Eravamo alloggiati nei prefabbricati in via Fratta, oggi sede del comando locale dei Carabinieri. Quella sistemazione era il segno evidente della distruzione e poi della rinascita vissuta post terremoto. Cinque anni trascorsi in alloggio di fortuna. Un piazzale con due container lunghi divisi da un container più corto adibito a bagni.   Il nostro esame di maturità in quelle scatole metalliche, trasformate in aule, lamiere rivestite internamente da “igienissima” moquette verde.

Flotta di ragionieri, formati insieme, solofrani, montoresi e serinesi.

E resta vivo il ricordo in quegli anni, quando l’allora Commissario straordinario per il sisma, nonché padre fondatore della moderna protezione civile, Onorevole Giuseppe Zamberletti, venne in visita presso il nostro Istituto per incontrare i giovani e la cittadinanza. Portò in quel momento di forte sensazione di provvisorietà, vicinanza e speranza.

Astraendomi per un attimo dal progresso che Solofra ha consentito anche ai vicini di casa, portando il benessere economico in molte famiglie, voglio ricordare chi per primo, con il suo nobile lascito, mise in campo una lungimirante azione positiva per il comprensorio, Agostino Landolfi.  Tanto tempo è trascorso da allora, l’ospedale ha subito molti cambiamenti vivendo anche momenti difficili, tra chiusura, riapertura e da ultimo avvicendamenti nella gestione aziendale. Certo che per la sua crescita e lo sviluppo di un territorio tutti i protagonisti sono importanti e fanno la loro parte, ma da montorese di nascita e solofrana di adozione, dopo aver conosciuto e praticato le vie di paese, sento di esprimere un senso di gratitudine per Solofra, ritenendo che anche all’ombra dei monti questa città abbia irradiato “luce” ai suoi abitanti ed al suo vicinato. Forse probabilmente e troppe volte, sminuita del suo effettivo valore.

Voglio concludere questa breve analisi, scevra da ogni pretesa, con l’auspicio, che L’Ospedale Landolfi, rappresenti concretamente ancora il simbolo di quanto la Città di Solofra abbia dato al comprensorio, prima, dopo l’evento sismico e nel divenire futuro.

Michela Della Ragione

 

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