L’Italia è una Repubblica democratica fondata su l’Otium.
Tengo a precisare, fin da subito, che non sono un costituzionalista. Mi chiamo Pasquino Arèteco, sono un pensionato che ha lavorato per 40anni alla “catena di montaggio” e che ora, da un pugno di anni, si gode il suo sacrosanto diritto di oziare. Dopo 40anni di duro e alienante lavoro, nel pieno rispetto delle norme costituzionali – ho esercitato ogni mio dovere, a partire da quello del lavoro –, mi avvalgo di questo diritto dovuto. Ho contribuito con le mie ‘fatiche’ alla fondazione e alla crescita della Nostra amata Repubblica. Non mi sono mai sottratto, con turni a volte massacranti, ai miei doveri. Alle mie responsabilità di cittadino. Ho contribuito ad alimentare ‘organi’ vitali, corpo e spirito, della nostra Costituzione, fin dai Suoi articoli fondamentali, soprattutto il Quarto. Raramente mi sono appellato al Primo comma – «La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto.» –; ho cercato, invece, di partecipare attivamente alla costruzione del Bene comune, dando ‘braccia e sudore’ al Secondo: «Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un'attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società». Motivo per cui, la mia generazione – istruita dalla lezione di Danilo Dolci – scioperava anche “alla rovescia”: non una semplice astensione dal lavoro, ma un “travagghiare” affinché non esistesse alcuna categoria di disoccupati; affinché tutti avessero l’onorevole-dovere di contribuire al “progresso della società”. Abbiamo lavorato perché era ed è una nostra responsabilità. Per questo è giusto pretendere, ora, il diritto, non il privilegio, di oziare. Nel vero senso della parola. La Treccani ci ricorda il significato più vicino all’etimo dai cui il vocabolo deriva: «otium era il tempo libero dalle occupazioni della vita politica e dagli affari pubblici (cioè dai negotia), che poteva esser dedicato alle cure della casa, del podere, oppure agli studî (donde la parola passò a indicare gli studî stessi, l’attività letteraria)», quella intellettuale e contemplativa, esercizi della mente e dello spirito. Allora, che l’ozio sia, non solo il diritto di pensionati e il privilegio di certe ‘categorie’, ma una prerogativa di ogni lavoratore, come dichiarato da Paul Lafargue nel suo pamphlet, “Il diritto all’ozio”. Egli, nella sua opera, scriveva: «Nella società capitalista il lavoro è la causa di tutta la degenerazione intellettuale, di tutta la deformazione organica». Questo accade perché l’ozio è stato svilito, umiliato, bandito dalla società capitalista – macchina di produzione, ammasso di consumatori – che ha santificato il lavoro, fino a ridurlo a mero servilismo, quando non a una vile e gretta schiavitù. I Greci, come i pensatori latini, sapevano che l’ozio era un dono degli dei, degno solo degli uomini liberi, mentre il lavoro spesso è stato trasformato, nella storia, in un simulacro dei totalitarismi. Che il lavoro sia e rimanga quel dovere sancito dalla nostra Costituzione, finalizzato a garantire a tutti i cittadini il diritto all’Ozio. Quell’Otium, anche se forzato, che – dalle “Lettere dal carcere” di Gramsci a “Il Manifesto di Ventotene” – ha dato vita, ha messo le fondamenta, alla Nostra Repubblica: da quello stesso Otium di pensatori, d’intellettuali che si sono conservati liberi, è stata scritta la nostra Costituzione. La quale, parafrasando i versi dell’Alfieri, ci rammenta ogni giorno che «[Dio] per padre ognun ci dà; ma tace, / Che vera madre nostra è Libertade [Artt. 13-21]», che è figlia di quell’Otium, dono – cantava Virgilio, «Deus nobis haec otia fecit» – di un dio.
A questo punto, risuona ancora più solenne e rivoluzionaria l’esortazione dello scrittore franco-cubano: «O Ozio, abbi pietà della nostra lunga miseria! O Ozio, padre delle arti e delle nobili virtù, sii il balsamo delle angosce umane!», affinché ci preservi di sana e robusta Costituzione.
Buon Lavoro e Felice Otium!
Pasquino Aréteco