È veramente triste sapere che un primario che ha diretto per tanti anni il reparto di chirurgia del Landolfi di Solofra, oggi sia schierato tra coloro che ritengono giusta la decisione di chiudere la struttura.
Delle due, l'una: o denunciava tale necessità quando lo dirigeva, evidenziando la sua inutilità per il territorio e rinunciando alla posizione apicale rivestita; oppure oggi a prevalere è il narcisismo (giustificato, per carità) di chi si ritrova a dirigere un'unità di più vasta risonanza e meglio illuminata dai riflettori mediatici.
Peccato che il prof. Landolfi non si trovi a vivere il calvario di stare in un pronto soccorso (da paziente, intendo) decine di ore in attesa, al centro di una sala in condizioni di gravissima promiscuità, senza alcuna riservatezza, tra lamenti ininterrotti di chi sta soffrendo e ha bisogno semplicemente di bere o urinare, ma nessuno lo ascolta se non dopo decine e decine di invocazioni.
Il primario, si sa (come certa politica), se dovesse malauguratamente sentirsi male, non ci passa neppure per la lettiga; non si stabilisce alcun codice d'accesso e le risposte alle analisi non si ottengono dopo ore e ore di attesa e dopo ripetute richieste.
Personalmente quando ho avuto bisogno del pronto soccorso a Solofra, me la sono cavata in un paio d'ore. Quando un docente o un alunno della scuola ha avuto la sfortuna di dovervisi recare, ha potuto contare sull'aiuto di un collega o sul pronto intervento di un congiunto per una prima assistenza. Al "lazzaretto" del Moscati non mi è bastata una nottata e un'intera mattinata (prelievo e flebo, tutto qui) per essere dimesso ponendo a mio carico un supplemento di indagine per sapere se il problema era di natura gastrica o cardiaca.
Se il tempo del prof. è sacro e il nostro non vale nulla a dispetto dell'insegnamento di Seneca, allora il primario ha perfettamente ragione: chiudiamo definitivamente Solofra.
Peccato dimenticare che si sia costruita anche lì parte di una brillante e luminosa carriera.
Distinti saluti, dirigente scolastico prof. Salvatore Morriale.