Tempo Ordinario: Domenica V dell'Anno B
Nota introduttiva: Non si tratta di “omelia”, ma di riflessioni che vengono dalla meditazione della Parola di Dio e che possono offrire spunti per la preghiera personale e l’omelia. Sono graditi suggerimenti per rendere più utili queste riflessioni (mons. Francesco Spaduzzi, francescospaduzzi@virgilio.it)
Tempo Ordinario: Domenica V dell'Anno B
I - Marco 1,29-39 – 1. (a) Gesù ha annunciato nella sinagoga la buona notizia che il Regno di Dio è venuto e che bisogna credere e convertirsi, per entrarvi e salvarsi, e ha anche liberato un ossesso, a conferma della sua predicazione; esce poi dalla sinagoga e va subito a casa dei suoi ospiti Simon Pietro e Andrea, seguito da Giacomo e Giovanni (29) e lì trovano malata con la febbre la suocera di Pietro; anche subito parlano di lei a Gesù (30 La suocera di Simone era a letto con la febbre e subito gli parlarono di lei). Gesù le si accosta, si china su di lei - i giacigli poggiavano direttamente sul pavimento -, le prende la mano e pure subito la guarisce; e così essa si mette subito a servirli (31 Egli si avvicinò e la fece alzare prendendola per mano; la febbre la lasciò ed ella li serviva). Non sappiamo se hanno rivolto a Gesù esplicitamente una preghiera in suo favore, ma notiamo la tenerezza e compassione di Gesù nell’avvicinarsi, prenderla per mano. Preghiamo per i nostri malati e gli anziani, e per tutti i bisognosi; stiamo al loro fianco per sostenerli e incoraggiarli; non possiamo guarirli ma almeno diamo loro così la nostra vicinanza con la preghiera e la parola e anche le opere, se possibile. Ha bisogno di noi Gesù, presente in loro. (b) Dopo il tramonto del sole, quando per gli Ebrei finiva il sabato col riposo sabbatico e iniziava il giorno seguente, portarono a Gesù molti malati, perché li guarisse, e indemoniati, perché li liberasse (32 Venuta la sera, dopo il tramonto del sole, gli portavano tutti i malati e gli indemoniati). Tantissimi erano raccolti davanti alla casa di Pietro: Tutta la città era riunita davanti alla porta (33); Gesù guarì un gran numero di malati e liberò una moltitudine di ossessi (24 Guarì molti che erano affetti da varie malattie e scacciò molti demoni), ma impediva ai diavoli di dire che era il Messia (34 ma non permetteva ai demoni di parlare, perché lo conoscevano), perché non era ancora il momento di rivelare la sua completa identità. Gesù opera i miracoli, perché è Dio, infinitamente potente, sapiente e buono, e uomo, nostro Messia e Salvatore: conosce bene i nostri bisogni, ci ama e perciò prova compassione per noi, può aiutarci e ci aiuta effettivamente, se portiamo la fede nell’incontro con Lui. Rinnoviamo la nostra fede in lui, riponiamo in lui la nostra speranza e fiducia; ricambiamo il suo amore col nostro amore a lui e all'immagine di Lui, che è il nostro prossimo.
2. (a) Gesù aveva passato con i discepoli la giornata fra la Sinagoga e la casa di Pietro e la sera a guarire i malati; poi dedicò qualche ora a dormire. Ma egli sentiva il bisogno dialogare col Padre suo; e così si alzò col buio e si ritirò in un luogo deserto (35 Al mattino presto si alzò quando ancora era buio e, uscito, si ritirò in un luogo deserto, e là pregava), dove poteva pregare lontano da occhi indiscreti e senza pericolo di essere interrotto o distratto. Gesù, in quanto Dio, sta in perenne dialogo col Padre e lo Spirito Santo; in quanto uomo ha bisogno come noi di trovare i tempi da dedicare a Dio, al colloquio con Lui. Non riuscendo a pregare di giorno, perché circondato dalle persone, al cui servizio si metteva con la predicazione e i miracoli, lo fa con frequenza di notte. Così Gesù ci insegna la necessità della preghiera e si fa anche in questo nostro modello; in altre occasioni ci propone anche il contenuto della preghiera. Seguiamone l'esempio, difendiamo i nostri tempi minimi di preghiera con le unghie e con i denti, contro il diavolo, il mondo e l'accidia: solo così, con la grazia di Dio, riusciremo a evitare i peccati gravi. (b) Simon Pietro e gli altri discepoli si mettono alla ricerca di Gesù (36), lo trovano e gli fanno notare che la gente lo cerca (37 Lo trovarono e gli dissero: «Tutti ti cercano!»); ma Gesù li invita ad accompagnarlo nei villaggi vicini per continuare la sua missione, portando anche altrove la buona novella della venuta del Regno di Dio, cioè che esso è venuto nella Sua persona (38 Egli disse loro: «Andiamocene altrove, nei villaggi vicini, perché io predichi anche là; per questo infatti sono venuto!»). E così fece: E andò per tutta la Galilea, predicando nelle loro sinagoghe e scacciando i demoni (39). Anche altrove la gente cerca di trattenerlo con sé, ma Gesù sa che ci sono moltissime persone, che hanno bisogno della sua Parola e delle sua opera e il tempo a disposizione è poco. Gesù vuole fare la stessa cosa con ciascuno di noi oggi: accogliamoLo e apriamoci alla collaborazione con lui per il portare il Vangelo di salvezza agli altri.
II - Giobbe 7,1-4.6-7 - Giobbe riflette che sulla terra la sofferenza è parte integrante della vita di ogni uomo, compresa la sua: è dura la vita, come quella dei militari (1 L’uomo non compie forse un duro servizio sulla terra…?); essa scorre come quella del mercenario (1 e i suoi giorni non sono come quelli d’un mercenario?), il quale lavora 12 e più ore al giorno e aspetta di essere pagato a sera (2 e come il mercenario aspetta il suo salario) ed è già più fortunato dello schiavo, che come ricompensa aspetta solo l'ombra di un albero, che lo protegga dal sole (2 Come lo schiavo sospira l’ombra). Giobbe sente che nel passato ha vissuto mesi di illusione (3 così a me sono toccati mesi d’illusione), pensando che il suo benessere sarebbe durato, e ora trascorre notti nel dolore (3 e notti di affanno mi sono state assegnate), dopo aver perso i figli, le ricchezze, la salute, e la moglie e gli amici non lo capiscono: appena si corica, già desidera alzarsi (4 Se mi corico dico: “Quando mi alzerò?”), perché non riesce a dormire e si gira e rigira sul giaciglio: la notte gli sembra interminabile (4 La notte si fa lunga e sono stanco di rigirarmi fino all’alba). I giorni della vita gli si sottraggono velocemente (5 I miei giorni scorrono più veloci d’una spola), perché essa è come un soffio (7 Ricordati che un soffio è la mia vita) ed egli vive senza speranza (6 svaniscono senza un filo di speranza), perché è convinto che non vedrà giorni migliori (7 il mio occhio non rivedrà più il bene). La rappresentazione della vita, che Giobbe ci offre, è veramente oscura e riproduce con realismo la sua situazione personale bruttissima: da ricco e con vita familiare e relazioni felici si è ridotto alla solitudine e a stare su un mucchio di immondizia a grattarsi con un coccio. Pensiamo a quelli che muoiono di fame e di freddo sotto le stazioni o i ponti o nei Balcani, ai civili tormentati dalle guerre, o a quelli torturati e ammazzati dai mercanti di uomini, protetti dai loro governanti, o a quelli che affogano nel nostro Mar Mediterraneo. Perché tanta sofferenza? All’origine c’è il peccato dei nostri progenitori e i nostri personali, anche se è sbagliato stabilire collegamenti diretti fra peccato e sofferenza. Se ci sentissimo innocenti – cosa assolutamente sbagliata perché tutti siamo peccatori – o ci riconosciamo peccatori, guardiamo a Gesù innocente, che ha patito per noi peccatori: uniamo alle Sue le nostre sofferenze, sopportate con pazienza, per espiare i peccati nostri e dell'umanità e collaborare alla salvezza eterna del prossimo. I nostri dolori, piccoli o grandi, non sono mai inutili, se uniti a quelli di Cristo Redentore e di Maria Corredentrice. Per viverli così, è necessario crescere nella fede, speranza e carità.
III - 1Corinzi 9,16-19.22-23 – (a) La consuetudine, che si affermava nella vita delle comunità cristiane primitive, era che l'apostolo aveva diritto di essere sostenuto dalla comunità, alla quale annunziava il Vangelo. Paolo volle mantenersi sempre col suo lavoro di costruttore di tende e rifiutava il sostegno della comunità, eccetto in qualche caso, come i Filippesi, dei quali accettò gli aiuti mentre predicava loro o ad altre comunità. In questo brano troviamo la sintesi delle sue idee in proposito. L’apostolo ha diritto al mantenimento (18 il diritto conferitomi dal Vangelo). Lui vi ha sempre rinunciato, perché ritiene che avrebbe diritto a una ricompensa se predicasse il Vangelo di sua iniziativa (17 Se lo faccio di mia iniziativa, ho diritto alla ricompensa); ma egli lo fa perché ha ricevuto la missione da Dio (17 ma se non lo faccio di mia iniziativa, è un incarico che mi è stato affidato); egli sente la necessità di predicare (16 perché è una necessità che mi si impone), l’obbligo stretto di portare la Parola, e si sente in pericolo se non lo fa (16 guai a me se non annuncio il Vangelo!); perciò non pensa affatto a gloriarsi perché predica (16 Infatti annunciare il Vangelo non è per me un vanto). Quale è la ricompensa che si aspetta (19 Qual è dunque la mia ricompensa?)? Quella di continuare a predicare gratuitamente il Vangelo (18 Quella di annunciare gratuitamente il Vangelo senza usare il diritto conferitomi dal Vangelo). Per S. Paolo la predicazione del Vangelo era l'opera più importante, più della stessa celebrazione del battesimo dei fedeli, ai quali aveva predicato. Sentiva fortemente come rivolto a sé l'ordine di Gesù di andare in tutto il mondo e predicare il Vangelo a tutte le creature (Mt 28,18-20; Mc 16,20). Far conoscere il Vangelo non è solo annunciarlo in chiesa, nell'assemblea, nelle catechesi, ma anche il parlare ai singoli per portarli a Cristo e ai sacramenti, che lo rendono presente. Di qui l'importanza di valorizzare la cresima, che abilita all'annuncio della Parola, e della preparazione personale, per dire non solo che si crede, ma anche perché si crede. (b) S. Paolo era cittadino romano e quindi uomo pienamente libero (19 pur essendo libero da tutti), ma, pur di annunziare il Vangelo, si è messo al servizio di tutti per far diventare discepoli di Gesù il maggior numero possibile di persone (19 Infatti,… mi sono fatto servo di tutti per guadagnarne il maggior numero). Con i deboli di coscienza si è adattato al loro modo di agire, non mangiando la carne immolata agli idoli, per non scandalizzarli e per portarli a Gesù (22 Mi sono fatto debole per i deboli, per guadagnare i deboli); con i Giudei ha osservato la legge di Mosè e con i pagani non l'ha osservata: insomma si è messo a disposizione di tutti per salvarli (22 mi sono fatto tutto per tutti, per salvare a ogni costo qualcuno). Tutto questo Paolo lo ha fatto per diventare partecipe dei beni, promessi dal Vangelo (23 Ma tutto io faccio per il Vangelo, per diventarne partecipe anch’io) a chi lo accoglie con fede e lo pratica con fedeltà. Era lo stile di apostolato di Paolo: distaccato dai beni, povertà, forte senso della responsabilità, generosità a tutta prova, impegno massimo per facilitare ai non credenti di convertirsi e di praticare la fede. Ammiriamo Paolo ma esaminiamoci anche, chiediamo perdono e proponiamo di migliorare.
EUCARESTIA. In essa incontriamo Gesù come Maestro che insegna e come Salvatore dell’uomo intero, della nostra anima con la resurrezione dal peccato, e del nostro corpo con un’eventuale guarigione, ma più con la resurrezione della carne. L’unione con Cristo ci fa condividere i suoi sentimenti e le sue virtù e quindi anche il bisogno di occuparci della salvezza dei fratelli con l’apostolato. Preghiamo la Vergine Maria e S. Giuseppe, gli Angeli Custodi e i Santi Patroni, che ci ottengano la grazia valorizzare al massimo questo dono dell’Eucarestia.