L’anno che verrà…
L’anno, che verrà, sarà importantissimo per lo Stato italiano e per la società: infatti, si preannunciano le elezioni per l’individuazione del successore di Napolitano e si sa bene quanto essenziale sia un passaggio simile, visto che, dalla scelta del nuovo Capo di Stato, discendono conseguenze fondamentali per la politica, in primis per il Governo, che un così grande giovamento ha tratto dalla protezione ricevuta dall’odierno Presidente della Repubblica.
Il cambio istituzionale, che si prevede, però passa in secondo piano rispetto ai mutamenti, ben più determinanti, che potrebbero inerire al tessuto sociale del Paese: ormai, la tendenza alla creazione di una società multietnica è sempre più evidente, per cui, se alla conclusione del 2014, solo il 7% della popolazione nazionale è composto di immigrati, nei prossimi dodici mesi un siffatto dato percentuale è destinato a crescere sensibilmente.
L’Italia, anche da questo punto di vista, diventerà quindi una nazione compiutamente europea, alla pari di Regno Unito, Germania e Francia, che ospitano molti più cittadini immigrati di quanto non faccia, tuttora, il nostro territorio.
Inoltre, è ovvio che la crisi economico-finanziaria rappresenterà un trait d’union fra l’anno, appena passato, e quello che verrà: purtroppo, i dati, forniti dall’Istat e dalle agenzie specialistiche più note, prevedono che non si uscirà dal momento difficile prima del 2016, per cui nel 2015 si accentuerà notevolmente la tendenza non positiva degli ultimi sette anni, portando molti ceti sociali in una condizione prossima alla povertà estrema.
A tal proposito, il provvedimento, assunto dal Governo nel corso della riunione del Consiglio dei Ministri del giorno 24 dicembre, poco aiuta la ripresa, nonostante Renzi ne vada molto fiero per indubbie esigenze di propaganda: infatti, come ha dichiarato Eugenio Scalfari - che non può essere tacciato di prossimità alla CGIL - i decreti attuativi del Jobs Act non creeranno le condizioni per nuovi posti di lavoro, ma faranno semplicemente sì che sia molto più facile, per gli imprenditori, licenziare il personale - considerato - in esubero, allo scopo di delocalizzare le produzioni, ulteriormente, fuori dai confini italiani, dove il costo del lavoro è molto più basso, perché la leva fiscale è più generosa, sia nei riguardi del datore, che del dipendente.
Pertanto, promettere magnifiche sorti progressive è un esercizio retorico, che rischia di generare altra confusione, ma crediamo invero che la pubblica opinione non nutra alcun dubbio sul fatto che la politica non è nelle condizioni di migliorare il tenore di vita di milioni di Italiani, a tal punto che la disaffezione, che si è verificata nel corso delle consultazioni popolari, svoltesi nella seconda parte dell’anno appena passato, dimostra ampiamente come il divario fra la società e le istituzioni si è ampliato, benché le speranze - inizialmente generate dalla nascita del Governo Renzi - facessero prevedere un decorso degli eventi molto dissimile da quello, poi, effettivamente realizzatosi.
Sarà, dunque, un altro anno all’insegna di lacrime e sangue?
La risposta sincera non può che essere affermativa, purtroppo: nessun dato economico lascia presagire il contrario e, perfino, le personalità più avvedute dell’Esecutivo, come il Ministro Padoan, evitano sistematicamente di fare promesse, che poi potrebbero essere disattese al momento dell'inevitabile verifica.
Forse, è necessaria più sobrietà da parte di chi ha responsabilità di amministrazione del Bene pubblico?
Forse, è opportuno che vengano richiesti altri sacrifici ai cittadini italiani, che già ne hanno fatti moltissimi a partire dal 2011 in poi?
Perché ciò avvenga, è saggio che chi vive una condizione di evidente privilegio, sia il primo a rinunciare ad una parte - almeno - dei propri benefici, così da rendere molto meno invisi gli sforzi e le rinunce, che le persone comuni dovranno continuare a fare per tutto il prossimo anno.
Forse, sarà necessario che il nuovo Capo dello Stato abbia il medesimo grado di popolarità, che hanno avuto altri Presidenti della Repubblica, così da avvicinare, finalmente, i cittadini alle istituzioni?
Bisognerà, forse, auspicare l’elezione di un novello Sandro Pertini?
Certo è che lo Stato italiano è chiamato ad avviare un rilevante e serio processo riformatore, alla stessa maniera della Chiesa cattolica, che ha saputo individuare in Papa Bergoglio il garante di un processo di trasformazione complesso, perché ineluttabilmente contrastato dagli stessi oppositori interni.
Orbene, i grandi elettori, nel prossimo mese di gennaio, saranno illuminati dallo Spirito Santo, come già lo sono stati i cardinali ed i prelati, che hanno partecipato all’ultimo Conclave del 2013?
Rosario Pesce