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La vittoria del Sindacato

Lo sciopero odierno rappresenta, certamente, una grande vittoria del Sindacato ed, in particolare, della CGIL, che, negli ultimi tre mesi, ha intensificato la lotta contro le politiche economiche del Governo Renzi, arrivando a mobilitare un numero straordinario di lavoratori e studenti, che sono scesi in piazza in tutta Italia, occupando - civilmente e pacificamente - le strade dei capoluoghi di regione, dove erano state programmate le manifestazioni sindacali. 
Naturalmente, dopo una mobilitazione simile, alla quale ha partecipato la minoranza del PD, un Governo, che abbia a cuore la coesione sociale del Paese, per evitare ulteriori strappi, deciderebbe saggiamente di fermarsi e di invertire la marcia rispetto al percorso compiuto finora. 
D’altronde, a chi può giovare una nazione esasperata e spaccata in due blocchi, con le organizzazioni sindacali sul piede di guerra? 
Peraltro, c’è un problema di non poco conto: i facinorosi, oggi, sono stati opportunamente allontanati dalle manifestazioni, tranne che a Milano e a Torino, dove qualche incidente pure si è verificato, benché in forme minime rispetto a ciò che si poteva temere alla vigilia. 
Orbene, perché l’Esecutivo non decide di aprire un dialogo con questa fetta consistente di Paese, che ha scioperato, allo scopo di isolare, ulteriormente, chi potrebbe avere interesse a far degenerare il conflitto sociale? 
Finanche, il Capo dello Stato, che fino ad un mese fa ha sostenuto Renzi in modo palese, ha preso le distanze ufficialmente dalle politiche renziane, invitando stamane il Presidente del Consiglio ad aprire un tavolo di discussione con chi ha manifestato il proprio legittimo e democratico dissenso, visto che la nazione, nel suo complesso, non trae alcun vantaggio dalla rottura della pace sociale e dall’instaurazione di un clima di conflitto, che può sempre precipitare, da un momento all’altro, in forme ben lontane dalla democrazia partecipativa. 
Le parole, pronunciate da Napolitano nelle stesse ore in cui l’Italia veniva bloccata dallo sciopero indetto dalla CGIL e dalla UIL, sono molto importanti, perché, pur nell’autonomia dell’Esecutivo dalla Presidenza della Repubblica, è stata mossa una critica a Renzi, di cui egli non può non tenere conto, dato che a pronunciarla è stata la massima Magistratura dello Stato. 
Peraltro, si aggiunge una problematica di non poco conto: nella scia della mobilitazione sindacale, inevitabilmente si muoverà l’opposizione interna al PD, che da domani avrà molti più argomenti da usare contro l’Esecutivo, colpevole di aver rotto i rapporti fra la Sinistra italiana e le organizzazioni del lavoro, rappresentative di milioni di Italiani, che si identificano nelle più importanti sigle sindacali. 
Quindi, la vita del Governo Renzi non si preannuncia facile nei prossimi mesi, dato che l’intensificazione della dialettica con la Sinistra del PD farà sì che l’Esecutivo possa subire ritorsioni in occasione del voto parlamentare sulle materie più svariate, dalla riforma della legge elettorale a quella costituzionale dei poteri del Senato e delle Autonomie Locali. 
Pertanto, appare a molti evidente una certezza, che si viene sempre più consolidando: in nome del Patto del Nazareno, Renzi ha scientemente deciso di divorziare non solo dagli ideali del riformismo italiano, ma soprattutto ha separato le sorti proprie da quelle di milioni di lavoratori, che, dopo averlo votato in occasione delle elezioni europee dello scorso mese di maggio, ineluttabilmente hanno preso le distanze da lui, quando è stata messa in essere la più grande offensiva contro i diritti del mondo del lavoro e contro lo stato sociale, così come lo abbiamo conosciuto dal 1970 in poi, cioè dall’introduzione dello Statuto, redatto da Brodolini e voluto fortemente dall’allora Governo di Centro-Sinistra, nel quale un ruolo fondamentale era appannaggio dei Socialisti di Pietro Nenni. 
Così facendo, Renzi ha dunque logorato il suo rapporto, finanche, con il Quirinale, perché in passato non si era mai visto che, nelle medesime ore in cui si svolgeva uno sciopero, il Capo dello Stato bacchettasse pubblicamente il Presidente del Consiglio, invitandolo a non snobbare le ragioni, legittime e giuste, della mobilitazione e della protesta. 
Dunque, Renzi ha, effettivamente, messo a segno un colpo assai deleterio per la sopravvivenza del suo Esecutivo, perché, dopo lo sciopero di oggi, non potrà non perdere la fiducia di quella parte del PD, che, pur non condividendo le mosse del Premier, aveva tenuto un basso profilo in attesa di comprendere lo sviluppo degli equilibri sociali nel Paese. 
La risposta odierna non ammette repliche: gli Italiani non hanno gradito il Jobs Act, perché la sua introduzione implicherà per milioni di lavoratori, nei prossimi mesi ed anni, la perdita ulteriore di certezze professionali: infatti, quando saranno assunti in azienda o in ufficio, essi potranno essere licenziati liberamente, avendo perso il sacrosanto diritto al reintegro, che spettava loro - invece - in base alla vecchia disciplina dello Statuto. 
Quindi, l’opposizione sindacale darà maggiore forza a quella politica ed è molto probabile che quei settecentomila Italiani, che hanno votato il PD nel mese di maggio e non hanno ripetuto il medesimo voto a novembre, possano individuare un nuovo referente partitico, al quale dare fiducia per la lotta messa in essere contro il renzismo, ormai, dilagante più nelle istituzioni che non nella società, dove invero Renzi è andato incontro - negli ultimi sei mesi - ad una perdita di consenso altrettanto rapida, quanto la sua ascesa, maturata nel primo semestre del 2014. 
Il Premier avrà l’intelligenza di fare retromarcia e di cambiare, profondamente, il proprio modus agendi? 
Noi temiamo che, per convinzione profonda e per eccesso di orgoglio, egli continuerà sul percorso avviato, per cui l’opzione dello scontro politico – in forme, assolutamente, civili e democratiche – non potrà non essere tenuta nella debita considerazione da chi non vuole, giustamente, rinunciare a diritti, che non possono essere cancellati in virtù dell’alibi della crisi economico-finanziaria. 


Rosario Pesce

 

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