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Se i sondaggi dicono la verità…

Poco crediamo, invero, ai sondaggi, ma quello, reso pubblico stamane dalla trasmissione Agorà, fotografa la realtà del Paese in questo preciso momento storico, visto che i suoi risultati sono, perfettamente, compatibili con gli esiti delle elezioni nelle regioni in cui si è votato nelle scorse domeniche. 
Infatti, emergono dati credibili: domina la sfiducia verso gli attuali vertici istituzionali, ampiamente comprovata dall’altissimo livello di astensione, che si è verificato sia dove si è votato per le elezioni regionali (Emilia e Calabria), sia dove si è andati al voto solo per le primarie (Puglia e Veneto). 
Quasi la metà degli Italiani intervistati ritiene che, nei dieci mesi del Governo Renzi, la situazione del Paese sia peggiorata, mentre solamente il 37% pensa che sia migliorata. 
Quest’ultimo elemento statistico ritorna con una certa frequenza, dato che il Governo ha la fiducia del 40% circa degli intervistati, così come analogo sarebbe il livello di consenso dello stesso Presidente del Consiglio, ben lontano da quelle cifre di alcuni mesi or sono che lo davano, anche, oltre il 60% nell’indice di gradimento dei nostri concittadini. 
È evidente che, con l’arrivo dell’autunno e con le scelte fatte in materia di lavoro, il Governo ha perso una fetta importante del consenso, che ha avuto nel corso della primavera, quando – come si dice in gergo – si è consumata la luna di miele fra Renzi e gli Italiani. 
Emerge, però, un dato: nonostante la crisi di popolarità del Premier, nessun altro leader riesce a scalzarlo, prendendo qualche punto in più di lui nell’indagine commissionata da Agorà; finanche, il Presidente della Repubblica, ormai prossimo alle dimissioni, nonostante il lavoro egregio, compiuto nei nove anni di permanenza al Quirinale, non riceve l’assenso pieno degli Italiani, che si dichiarano contenti del suo operato solo in ragione del 39% del campione analizzato: troppo poco, invero, per una personalità, come Napolitano, a cui l’Italia deve la credibilità residua, che può avere, ancora, nel consesso europeo ed internazionale. 
Un dato è, evidentemente, significativo: gli Italiani non compongono, in questo momento, una pubblica opinione caratterizzata da orientamenti omogenei. 
Infatti, al di sotto di Renzi, gli altri leaders, di cui è stato indagato il livello di gradimento, sono stabilmente molto lontani dal Presidente del Consiglio, a dimostrazione del fatto che una leadership alternativa a quella dell’ex-Sindaco di Firenze, tuttora, non è emersa, nonostante l’Esecutivo sia giunto al punto più basso della sua popolarità nel corso del 2014. 
È, questa, la fortuna del Premier? 
Il fronte delle forze, che si contrappongono a lui ed al suo Esecutivo, è fondamentalmente spaccato, per cui, in assenza di unità, inevitabilmente non emerge un competitor, che possa sperare di vincere le elezioni nella prossima primavera, qualora – come appare probabile – si possa andare al voto anticipato. 
È, però, certo che lo scandalo romano ha scosso le coscienze degli Italiani moltissimo, così come avvenne, nel biennio 1992/94, per effetto delle notizie che emergevano da Tangentopoli. 
Infatti, il campione intervistato ritiene che la vicenda, afferente al Comune capitolino, non sia solamente di interesse romano, ma abbia un respiro nazionale, dal momento che il livello di corruzione, evidenziato dall’azione della Magistratura, era così ampio, da riguardare tutte le forze politiche presenti in Consiglio. 
In particolare, ha scosso la pubblica opinione il fatto che l’unica personalità, il Sindaco Marino, che ha cercato di opporsi alla deriva delinquenziale, che aveva preso il sopravvento negli uffici del Campidoglio, è stato violentemente attaccato sia dall’opposizione, che dal suo stesso partito, prima che fosse resa nota l’ampiezza del fenomeno criminale presente all’interno della burocrazia e, soprattutto, del ceto politico della Capitale. 
È, quindi, pleonastico sottolineare come questo ennesimo colpo al sentimento di autostima degli Italiani non potrà non avere conseguenze sulle prossime elezioni, che comunque, nell’arco di diciotto mesi al massimo da oggi, si celebreranno in Italia: si è rotto, infatti, il filo - pur esile - che collegava il Paese alle istituzioni, per cui è ineluttabile ipotizzare che la protesta possa incidere, in modo rilevante, sugli esiti del voto futuro. 
Come inciderà? 
Attraverso l’astensione, come è successo già a novembre, in occasione del voto regionale, oppure attraverso un consenso di massa dato ad una nuova formazione populista ed anti-sistema? 
Il punto di domanda non è secondario: se prevarrà l’astensione, Renzi ed il PD continueranno a vincere, anche se potranno raccogliere un numero minore di voti in assoluto, mentre, se sarà individuato finalmente un nuovo soggetto, meritevole della fiducia degli Italiani, è ineluttabile che chi, finora, ha governato il Paese, paghi il prezzo più alto, visto che viene ritenuto il responsabile del fallimento odierno. 
D’altronde, è sempre più ridondante l’atteggiamento insano di un’intera classe dirigente, che, in presenza di problemi rilevantissimi di molti milioni di nostri concittadini, si interroga - da mesi, ormai - circa i contenuti della legge elettorale, a testimonianza di un comportamento improduttivo e meramente autoreferenziale, che non può non allontanare, ulteriormente, i cittadini dallo Stato, la cui azione è vista, di conseguenza, come un’insidia, da cui difendersi, e non come un’opportunità da cogliere al balzo per migliorare il proprio tenore di vita. 
Ci sarà un’inversione di tendenza a breve? 
Il ceto medio è scomparso o, comunque, è in rapida via di estinzione, per cui, in assenza di una classe intermedia che smorzi il conflitto sociale, è inevitabile che il dissenso possa assumere un’intensità crescente, che deve essere, invece, ridimensionata e riportata entro limiti accettabili e proficui per lo stesso dibattito politico. 
Renzi – ci domandiamo tutti – è l’uomo giusto per ricondurre l’Italia sulla strada dell’armonia e della concordia fra classi ed interessi, oggi, non convergenti? 
Le prossime settimane forniranno una risposta in tal senso: a noi non resta che auspicare, frattanto, che la ripresa economica possa riprendere vigore, anche, per effetto di fattori non solo strettamente nazionali. 


Rosario Pesce

 

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