Una vittoria a metà
Costituisce una vittoria a metà la sentenza che manda assolti i capi del clan dei Casalesi, per le minacce rivolte contro i giornalisti Roberto Saviano e Rosaria Capacchione, e condanna esclusivamente l’avvocato che si fece latore dell’azione criminale contro i due intellettuali, che - da molti anni - vivono scortati da ingenti misure di sicurezza.
In un Paese civile, le sentenze non si commentano, né quando esse piacciono, né – come in questo caso – quando lasciano una scia di polemiche ed opinioni contrastanti.
Infatti, il potere giudiziario deve essere libero di svolgere la propria azione, indipendentemente dai condizionamenti politici e dai mass-media, ma certo non possiamo esimerci dal fare una riflessione, che vada oltre, anche, il mero dato di cronaca costituito da un’assoluzione inattesa, che non si può non auspicare venga rivista nei successivi gradi di giudizio.
Ormai, da qualche anno, la lotta contro i grandi poteri criminali sembra aver perso importanza, per cui, se prima essa rappresentava una priorità della politica e delle istituzioni, oggi non occupa più un ruolo centrale nei programmi dei Governi, che di volta in volta si succedono.
I successi, ottenuti nel contrasto alle mafie nel corso degli anni ’90 e del primo decennio del secolo appena iniziato, hanno inevitabilmente distratto l’opinione pubblica, che non guarda più alle cose di mafia come ad un aspetto inquietante della vita pubblica.
Sembra che molti Italiani si siano abituati all’idea di vivere in un Paese, dove la grande criminalità organizzata controlla interi territori, sostituendosi allo Stato democratico in molte delle sue funzioni essenziali.
Le stragi, che videro come vittime Borsellino e Falcone, produssero l’effetto di sensibilizzare gli Italiani che, in quei mesi dell’estate del 1992, ebbero una reazione emotiva molto forte contro i fatti criminali gravissimi, prodotti in Sicilia, e - sulla scia di quel sentimento - lo Stato poté mettere a segno delle vittorie significative, portando in carcere i capi dei clan mafiosi.
Analogamente, in Campania, sulla scorta del romanzo di Saviano, Gomorra, e grazie alle inchieste giornalistiche di Rosaria Capacchione, oggi Senatrice del PD, si è fatta luce sugli interessi dei Casalesi, i quali hanno finalmente subìto sconfitte rilevanti, visto che i loro vertici, militari ed economici, sono stati arrestati e, sostanzialmente, il clan è stato notevolmente indebolito dalla meritoria azione di contrasto, esercitata dalle Forze dell’Ordine e dalla Magistratura.
Da qualche anno, però, l’impressione, secondo cui l’iniziativa dello Stato contro la criminalità si sia arrestata, domina in molti strati della pubblica opinione: la sentenza dell’altro giorno, indipendentemente dai motivi strettamente tecnici, che l’ha indotta, costituirebbe un segnale grave in tal senso.
Saviano e la Capacchione hanno dovuto cambiare vita, per evitare di rimanere vittime del fuoco dei Casalesi, che naturalmente non hanno loro mai perdonato l’attività pubblicistica condotta contro il clan, quando erano ancora giornalisti che agivano nei territori difficili del Napoletano e del Casertano.
Saviano vive in una dimensione blindata, che ovviamente sottrae molta qualità del vivere alle sue giornate, visto che è impossibilitato a fare azioni quotidiane e gesti semplici, tipici di qualsiasi persona comune, mentre la Capacchione, divenuta Parlamentare della Repubblica, ha dovuto rinunciare al suo antico mestiere.
È naturale che il sacrificio di queste due personalità meriti di essere ripagato diversamente: innanzitutto, è necessario che mai si abbassi la guardia contro la criminalità organizzata, dato che essa ha la capacità di rinascere dalle sue ceneri, per cui, nonostante i capi siano in galera, le mafie sanno bene come riorganizzarsi sul territorio di loro competenza, sostituendo – se necessario – i vertici, che sono dietro le sbarre, con nuovi leaders, finanche più cruenti di quelli precedenti.
È, inoltre, opportuno che i vertici istituzionali forniscano un segnale molto importante, inasprendo magari le pene ed il regime di detenzione di quanti sono condannati per reati legati alla grande criminalità, sia di natura militare, che finanziaria.
In particolare, devono essere aggredite le ricchezze, composte in modo illecito, per cui appare contraddittorio il segnale fornito dal Parlamento, quando ha autorizzato il rientro di danaro dall’estero con l’imposizione di aliquote irrilevanti.
Sarebbe giusto ed auspicabile che, su quelle notevoli risorse di danaro, lo Stato intervenga con prelievi ben più consistenti, che consentano di rimettere a disposizione dell’Erario patrimoni generati, molto spesso, con azioni che ledono gravemente interessi pubblici rilevanti.
Solo quando il crimine organizzato sarà stato colpito nella dimensione degli affari, si potrà affermare che la battaglia sta per essere vinta; altrimenti, si assisterà ad una sequenza di successi parziali, a cui possono conseguire poi sconfitte, che abbassano il livello di efficacia degli attacchi dello Stato contro gli interessi malavitosi.
Rosario Pesce