Uguaglianza o opportunità?
Il dibattito all’interno del PD fra i renziani e gli ex-ds sta, ormai, assumendo dimensioni importanti, anche da un punto di vista culturale ed ideologico: infatti, appare evidente a molti che gli interventi, promossi dal Presidente del Consiglio, stiano mutando il dna della Sinistra italiana, almeno così come lo abbiamo conosciuto per circa un secolo.
Il tema dell’ugualitarismo, sempre caro alla tradizione marxista e post-marxista del nostro Paese, è stato messo definitivamente in soffitta dal Premier, il quale sta tentando in Italia di realizzare una rivoluzione dei paradigmi tradizionali, come fece Blair in Inghilterra ed, ancora prima, come ipotizzò di fare Craxi.
La cultura politica, che per decenni è stata costruita sul mito dell’uguaglianza ad ogni costo, viene progressivamente sostituita da ciò che, a noi, sembra un mero feticcio: le opportunità.
I socialisti, alla fine degli anni ’80, lanciarono il messaggio fondato sull’esaltazione dei meriti degli individui, tentando di sfumare la contrapposizione fra questi ed i bisogni, a cui la Sinistra ha cercato sempre di dare una risposta.
Oggi, con Renzi, i meriti vengono sostituiti dalle opportunità: l’articolo 18 non è più necessario e va eliminato in quanto ostacola le opportunità di crescita dell’economia; diventa opportuno alleggerire il carico fiscale sulle imprese, senza prendere in considerazione i costi sociali, che ne derivano, dal momento che quel denaro, che entrava nelle disponibilità delle Regioni, finanziava i servizi che esse erogano ai loro cittadini.
L’opportunità, dunque, diventa la cartina di tornasole del nuovo corso renziano e, nell’ideale graduatoria dei valori della nuova Sinistra, essa soppianta tutti i miti che, dal 1848, avevano caratterizzato gli slogan di quell’area di pensiero, a partire dal Manifesto di Karl Marx in poi.
Quindi, si prospetta la nascita di un diverso ressemblement che, non solo, è coerente con un clima post-ideologico, ma soprattutto - in nome dell’avversione alle ideologie dei secoli XIX e XX - sembra riproporre la cultura, invece, che l’Europa ha conosciuto nel corso del secolo XVIII: il liberismo.
Lo Stato, nella concezione renziana, man mano si allontana dalla vicenda economica ed interviene, esclusivamente, allo scopo di rimuovere gli ostacoli, che rallentano la felice crescita produttiva: le tasse a carico dell’imprenditoria sono un freno e, dunque, vanno eliminate senza considerare gli effetti, che possono conseguire dalla soppressione di un gettito fiscale, che finanziava Sanità e trasporti.
Analogamente, nella Pubblica Amministrazione si immagina di mettere in piedi un sistema della premialità, volto a ridistribuire diversamente il danaro che, fino ad oggi, è stato erogato in parti uguali, senza tenere conto che una logica premiale – per quanto legittima ed auspicabile – non dovrebbe, comunque, rimuovere la possibilità di valorizzare - in forme minimali e per tutti - il salario grazie al sistema degli scatti stipendiali, per cui la logica meritocratica dovrebbe essere integrativa e non sostitutiva, tout court, di questi ultimi.
Anche, nel campo dell’interlocuzione fra le forze rappresentative della società, i partiti, i sindacati sembrano divenire per Renzi un rottame di un’epoca che non c’è più.
I sindacati, nella logica renziana, sono organizzazioni delegittimate, di cui si potrebbe forse fare volentieri a meno, mentre i partiti, così come li abbiamo conosciuti nei due secoli precedenti, sono vecchi arnesi del passato, per cui ogni leader – a partire dallo stesso Renzi – è legittimato a costruire, all’interno delle formazioni partitiche tradizionali, un proprio personale partito, qualcosa di diverso da una semplice componente e qualcosa di più di un mero cartello elettorale, visto che la Leopolda, ad esempio, è di fatto il comitato permanente dei renziani, che si riunisce finanche quando non si è in campagna elettorale, eleborando le linee guida del Governo, pur non essendo una forza partitica presente né in Parlamento, né nell’Esecutivo.
Una siffatta visione della democrazia è - a nostro avviso - pericolosa e non poco: in virtù della giusta esigenza di rottamare ciò che è emendabile nella società, come nelle istituzioni, si rischia così di avviare un processo di progressiva cancellazione di diritti acquisiti, sia nel campo economico, che in quello politico, potendo contare sul fatto che la crisi è l’alibi che consente di fare ciò che - fino a qualche anno fa - non era né pensabile, né dicibile da nessuno, tanto più da chi ha la responsabilità di dirigere un partito che nasce dalla fusione della Sinistra ex-democristiana con la Sinistra post-comunista e post-socialista.
Forse, siamo anche noi meritevoli di essere rottamati o abbiamo una visione che, sia pure in modo assai diverso da quello renziano, consente di guardare con relativo ottimismo alle sfide della contemporaneità, senza però voler rinunciare al frutto delle conquiste dei nostri nonni e genitori?
A tal riguardo, gli anni prossimi saranno chiarificatori; frattanto, non possiamo non approfondire una dinamica sociale e politica, che - in futuro - sarà sempre più decisiva per le sorti di milioni di cittadini, vecchi e nuovi Italiani, per i quali il percorso di crescita si prospetta in salita e con poche o scarse gratificazioni, almeno nell’immediato.
Rosario Pesce