Se lo Stato è assente…
I fatti drammatici di Genova ripropongono una questione centrale nel nostro Paese: il dissesto idro-geologico.
Rappresentando una minaccia permanente per la salvaguardia dei territori, esso è - tuttora - il fattore che può scatenare devastazioni, rispetto alle quali sia la comunità scientifica, che quella istituzionale si trovano in enormi difficoltà.
Infatti, da tre giorni ci troviamo in presenza di un continuo rimpallo di responsabilità, per cui la Protezione Civile nazionale afferma che non era prevedibile, in alcun modo, il dato meteorologico che ha causato l’esondazione del fiume ed ha determinato così gravi danni, mentre, dall’altra parte, si registra la latitanza del Comune, che ha dimostrato, a pieno, i suoi limiti, non solo nella fase previsionale dell’emergenza, ma soprattutto in quella successiva, quando andava gestita la messa in sicurezza delle zone, ancora, insistenti sotto fango ed acqua.
È pleonastico sottolineare che il nostro territorio, sin dagli anni Sessanta del secolo scorso, si trova in una condizione a dir poco penosa, visto che è stato consentito di costruire in angoli di paesaggio, dove invece nessuna autorità nazionale, né locale avrebbe dovuto rilasciare concessioni edilizie: infatti, le case, che si trovano in maggiore difficoltà, sono abitazioni regolarmente costruite e non manufatti realizzati in modo abusivo, come pure si pensa.
Per risanare tali territori, bisognerebbe fare una scelta drastica, che ovviamente è impraticabile: abbattere le costruzioni, che si trovano in aree a rischio; ripristinare lo stato dei luoghi pre-esistente alla furia cementizia, che per molti anni ha segnato l’economia italiana, e trasferire la popolazione in altri siti, qualora questi esistano e siano disponibili per un’antropizzazione forzata.
Evidentemente, a fronte dell’irrealistica possibilità di un evento simile, non si può non tentare di gestire le aree a rischio, affidandosi un po’ alla Fortuna, sperando che Giove Pluvio non sia ingeneroso verso l’uomo, ed, al tempo stesso, realizzando quegli interventi di manutenzione, ordinaria e straordinaria, che possono almeno semplificare la situazione, qualora vengano giù quantitativi notevoli di acqua, detriti e fango.
Ad esempio, in Campania, i Borbone conoscevano esattamente le leggi dell’idro-dinamica, per cui essi realizzarono i cosiddetti Regi Lagni, che furono uno strumento straordinariamente importante per favorire il deflusso delle acque, finanche quando queste si presentavano con una portata notevolmente al di sopra del consueto.
Non possiamo dimenticare, ad esempio, che la strage di Sarno nel 1998, in Campania, venne determinata da una serie di fattori, fra cui l’intasamento di quei canali, che per secoli hanno garantito la corretta tracimazione delle acque piovane.
Il dramma, nel caso genovese, è però rappresentato dall’assenza dello Stato nella fase di coordinamento degli interventi, sia prima che dopo l’accaduto: infatti, ai giudici spetterà decidere quali e quante siano le responsabilità per il mancato pre-allarme da parte dalle autorità competenti.
Invero, vedere le immagini, trasmesse in questi giorni, di cittadini che, a mani nude, liberano le strade dal fango costituisce, davvero, uno schiaffo all’intelligenza umana, visto che il servizio di Protezione Civile - nelle sue articolazioni nazionali, regionali, provinciali, comunali - comporta costi altissimi al contribuente, che, nel caso di scoppio di un’emergenza di siffatta portata, deve poi provvedere, autonomamente, alla liberazione di case e vie dal fango e dai detriti portati giù dalla violenza delle acque.
Obiettivamente, le immagini trasmesse dalla tv e dalla rete segnano una sconfitta non solo per la democrazia, ma per l’intero sistema statuale italiano, a dimostrazione del fatto che, per cause molteplici, la macchina organizzativa delle nostre istituzioni, nazionali e locali, si blocca nel momento in cui dovrebbe, invece, fornire una performance all’altezza della gravità della situazione venutasi a creare.
Da qualche parte, si è detto “Genova come Firenze”: dall’alluvione, che colpì nel 1966 il capoluogo toscano, sono trascorsi circa cinquant’anni e l’Italia pare che abbia imparato poco o niente dalle sciagure, che l’hanno segnata nel recente passato.
Nel caso genovese, fortunatamente il numero di morti è stato limitatissimo, visto che siamo in presenza di una sola vittima, ma certo i danni economici sono ingenti e colpiscono una regione ed un territorio, che stavano ancora metabolizzando la tragedia del 2011, quando, in una vicenda analoga, le ferite inferte al sistema produttivo furono altrettanto ingenti e, soprattutto, anche in quella circostanza si palesò la medesima inefficienza della macchina comunale, per cui il Sindaco dell’epoca fu costretto a dimettersi e venne messo sotto accusa dalla Procura della Repubblica.
A distanza di tre anni, si ripete un refrain analogo, fortunatamente con un esito meno drammatico di quello che poteva essere, visto che il sistema dell’allarme non ha funzionato e, tuttora, non è adeguato alle necessità il piano degli interventi di soccorso messo in essere.
Forse, stiamo attendendo un'ulteriore tragedia per mettere in sicurezza quella parte di territorio, che può essere salvaguardata e sottratta alle furie delle acque?
Forse, siamo in presenza dell’ennesima vicenda italiana, nella quale il malaffare e la criminalità organizzata impongono un uso inefficace ed inefficiente delle risorse, con la conseguente perdita di fondi, che potrebbero - se fossero ben usati - fornire servizi ed opere utili per città di piccole, come di grandi dimensioni?
Forse, siamo in presenza della resa definitiva dello Stato, che, in casi simili, non può non affidarsi alla meritoria azione di giovani volontari che, sottraendo ore preziose alle proprie attività lavorative e di studio, mettendo peraltro a rischio la vita, svolgono compiti, che dovrebbero essere assolti da strutture specializzate e debitamente formate in tal senso?
Rosario Pesce