Per una democrazia compiuta...
Le vicende degli ultimi mesi dimostrano bene come, non solo in Italia, i partiti politici tradizionali siano ampiamente delegittimati, per cui le decisioni, effettivamente importanti per la vita dello Stato e delle comunità nazionali, vengono assunte dai leaders su ispirazione degli Organismi dell'U.E. o, comunque, sovra-nazionali.
Appare evidente a tutti, ad esempio, che l'abrogazione dell'articolo 18, realizzato da Renzi nel giro di pochi mesi, gli sia stata suggerita dalla Banca Centrale Europea e, probabilmente, dalla nuova Commissione di Bruxelles, visto che la riforma dello Statuto dei Lavoratori non costituiva una priorità del programma renziano, almeno, fino agli inizi della scorsa estate, quando sembrava che la sua azione riformista si orientasse, piuttosto, su altri obiettivi.
Pertanto, è ormai lapalissiano sottolineare il trasferimento dei centri decisionali reali fuori dal contesto nazionale: la sovranità non appartiene più ai popoli, ma ad istituzioni di natura non-elettiva - come, appunto, la B.C.E. - per cui è sempre più ovvio mettere in rilievo lo svuotamento di prerogative e poteri effettivi, che, nel corso degli ultimi anni, ha subìto la Stato nazionale.
Nei prossimi decenni, anche per effetto dell'internazionalizzazione ulteriore dell'economia, una siffatta tendenza sarà destinata a consolidarsi, per cui non è, del tutto, peregrino il quesito che alcuni si pongono: è, ancora, attuale la democrazia?
Le istituzioni rappresentative, infatti, vivono un vulnus democratico rilevante, mai registratosi nella storia recente dell'Europa: finanche le grandi dittature del Novecento (Fascismo, Nazismo, Comunismo) esaltarono il ruolo delle istituzioni statuali, mentre oggi queste stesse vengono soppiantate da centri economico-finanziari, che dettano sistematicamente l'agenda ai governanti, i quali - al di là dell'ovvia propaganda, fatta per alimentare la macchina incessante del consenso - non possono non soggiacere ai diktat loro imposti.
Ed, allora, in un'epoca nella quale i partiti già vivono una crisi fortissima, a causa della corruzione, che li ha delegittimati agli occhi dei cittadini, la democrazia diventa - in taluni casi - una mera chimera, priva del tutto di efficacia concreta; in altri casi, invece, essa è associata ad atavici incubi, perché l'opinione pubblica la mette in relazione, anche inconsciamente, con i mali della modernità, dalla già citata deriva di corruttela clientelare fino alla povertà dilagante, di cui le cause scatenanti non possono non essere i meccanismi perversi di funzionamento della macchina statuale, sovente frenata dagli istinti peggiori di chi dovrebbe guidarla con onestà e specchiate competenze.
Noi, da parte nostra, convinti assertori della democrazia, non possiamo non credere - pervicacemente - nella funzione, tuttora valida, dei partiti, i quali però devono invertire la tendenza degli ultimi anni: essi dovrebbero cessare di essere, cioè, dei meri cartelli elettorali di concezione padronale, pronti a servire chi nutre aspirazioni ed ambizioni di protagonismo, che si allontanano - sempre più marcatamente - dai canoni ottocenteschi e novecenteschi del moderno partito di massa.
Forse, questo è il sogno di un impenitente democratico ovvero siamo in presenza di una concreta prospettiva di lavoro, praticabile ad opera di chi non vuole cedere all'ipotesi triste di dominio da parte dell'alta finanza e della borghesia bancaria?
Rosario Pesce