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Minoranze ballerine

Quella del PD sembra, davvero, una minoranza ballerina; infatti, dopo aver messo sotto accusa l’impianto della riforma di Renzi, in merito all’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, ora sembra che stia progressivamente tornando sui suoi passi, per cui, pur non avendo ottenuto ciò che desiderava, è orientata a votare comunque la fiducia al Governo che, così, farà passare molto più celermente il provvedimento al Senato, potendo esibire, all’Italia intera e all’Europa, il risultato trionfale della riduzione di un diritto, che, sancito dalla legislazione del 1970, era stato riformato già dalla Fornero due anni or sono. 
Qualcuno potrà obiettare, mettendo in evidenza che, in un partito, si milita in questo modo: si discute, si vota e, poi, la minoranza deve convergere sull’orientamento della maggioranza, tanto più quando il Presidente del Consiglio, che è anche Segretario Nazionale del partito, decide di porre la fiducia su un provvedimento che, altrimenti, giacerebbe alle Camere, per mesi, prima di essere approvato. 
Questa spiegazione, un tempo, aveva un nome ben preciso: si chiamava ‘centralismo democratico’. 
Accadeva, infatti, che democraticamente all’interno del PCI si discutesse, ma poi, centralisticamente, la minoranza doveva adeguarsi agli indirizzi di voto della maggioranza, per cui la discussione, avviata nel partito e nel Paese, poneva le premesse di una dialettica, che poi era destinata a scomparire al momento del voto in Aula. 
In tal caso, la lezione del PCI può tornare utile a Renzi, il quale, facendo valere il principio di maggioranza, incassa la fiducia al Governo e, soprattutto, fa passare una legge delega, che non pochi problemi creerà in futuro, in particolare quando saranno scritti i decreti attuativi, che tuttora rimangono un’incognita. 
Non è un caso se il testo della delega, che i parlamentari dovranno votare, è già di per sé nebuloso, per cui il Ministero del Lavoro e la Presidenza del Consiglio, poi, potranno avere mano libera nello sfumare, in un verso piuttosto che in un altro, i contenuti dei provvedimenti conseguenti. 
Frattanto, però, nel Paese la discussione è stata aspra, per cui quanti hanno espresso un orientamento contrario all’impostazione renziana ed avrebbero desiderato una coerenza di comportamento, fra la fase del dibattito e quella del voto, si vedono ora privi di una rappresentanza politica, visto che la minoranza del PD voterà, comunque, compatta con la maggioranza. 
Una brutta pagina, questa, per davvero, perché determinerà un alto costo politico al principale partito del Centro-Sinistra italiano; infatti, tutti quegli elettori, che non sono d’accordo con l’abrogazione dell’articolo 18, dovranno necessariamente guardare oltre lo steccato del PD, dal momento che l’atteggiamento dei vari Civati, Damiano, Bersani è stato più deludente di quello dello stesso Renzi, che, peraltro, ha offerto plasticamente l’immagine al Paese della sua forza, sia all’interno del proprio partito, sia nei rapporti con gli alleati di Governo, che voteranno - in modo unanime - la fiducia al suo Esecutivo. 
Chi trarrà vantaggio da una situazione siffatta? 
Ad oggi, non esiste una formazione politica, effettivamente radicata, alla Sinistra del PD, per cui il consenso in libera uscita dal PD non ha un destinatario certo; si può provare ad ipotizzare che i cittadini-elettori, delusi dagli esiti della discussione sul Jobs Act, si orientino verso SeL? 
Non crediamo, invero, che il partito di Vendola possa costituire l’approdo di quel voto in uscita dal Partito Democratico, visto che SeL è, tuttora, il partito di un leader – appunto, il Governatore pugliese – mentre è necessario, oggi, immaginare la nascita di una formazione, che si identifichi in idee e valori forti, piuttosto che nella leadership di questo o quell’attore, per quanto importante, della vita istituzionale del Paese. 
Nei prossimi mesi, potremo capire bene quale sarà la nuova geografia politica italiana, dato che riteniamo altamente probabile non solo la scomposizione dell’elettorato del PD, ma crediamo che, anche, a Destra gli sviluppi della dinamica odierna determineranno tracimazioni di fette rilevanti di consenso e la nascita di nuovi soggetti politici. 
Ad esempio, non reputiamo credibile l’esistenza prolungata di una minoranza nel PdL, come quella capeggiata da Fitto, evidentemente entrata in rottura con Berlusconi, dal momento che questa area forzista ritiene opportuno uscire dalla condizione attuale di ambiguità, che di fatto fa del Cavaliere il principale alleato di Renzi, pur non essendo al Governo. 
Qualora, poi, entro dicembre dovessero registrarsi fatti nuovi, quando in Parlamento arriveranno i provvedimenti relativi alla riforma costituzionale ed alla legge elettorale, allora andrebbe messa in cantiere, finanche, l’ipotesi del voto anticipato ed, invero, siffatta prospettiva non potrebbe che incrementare la fibrillazione dentro i partiti e le coalizioni, visto che l’approssimarsi del voto, inevitabilmente, accelera il processo di distinzione fra correnti e componenti della medesima parte politica e, soprattutto, accentua i protagonismi, che sono il vero leitmotiv della vicenda istituzionale del Paese, molto spesso a danno dei cittadini e dello Stato. 


Rosario Pesce

 

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