Se il ceto medio sostiene la protesta…
La manifestazione, celebratasi ieri a Napoli, in occasione della riunione dei Governatori delle Banche Centrali Europee, ha fatto registrare un evento fondamentale: i giovani, scesi in strada per manifestare il disagio in relazione alla condizione attuale ed al futuro inserimento nel mondo del lavoro, hanno ricevuto le simpatie e gli applausi di medici, bancari, professori, piccoli imprenditori, persone comuni che, dai balconi delle abitazioni o dinnanzi ai negozi, che ospitano le loro attività commerciali ed artigiane, hanno espresso condivisione per la lotta del movimento studentesco, che – neanche, molto numeroso – sfilava per le strade della città partenopea.
È la prima volta che, dopo anni, la protesta giovanile viene affiancata dal consenso degli adulti, i quali, pur appartenendo al ceto borghese, piccolo e medio, hanno avuto modo di esprimere il proprio dissenso verso le politiche, improntate all’austerity, finora messe in essere dagli Stati europei, che non producono più le ricchezze di un tempo ed, in particolare, come nel caso dell’Italia, vivono una recessione che – di fatto – si sta prolungando da tempo, anche se è stata formalizzata, solo, con i dati della produzione afferenti al primo semestre del 2014.
È evidente che, mentre i giovani avvertono con sconforto la mancanza di lavoro ed, in prospettiva, l’ipotesi di un’attività professionale mal retribuita e priva delle opportune garanzie - che essa dava un tempo - gli adulti invece, da parte loro, vivono la condizione tragica di un lavoro precario - quando c’è – e, soprattutto, subiscono gli effetti di un sistema previdenziale sempre più carente ed inadeguato ad offrire sicurezze in vista della terza età, a cui ci si approccia con timore ed inquietudine.
Ormai, appare a molti scontata la proletarizzazione del ceto medio, per effetto della quale la condizione, odierna e futura, di questa classe, una volta agiata, non è molto dissimile da quella di quanti vivono ai margini della società.
La divisione sociale attuale è quella tipica di una comunità nettamente divisa in due fasce di reddito: i ricchi, sempre più avvantaggiati in termini di accesso ai beni voluttuari, e la parte più debole, che tende quotidianamente ad ampliarsi, ai danni dell’ex-ceto medio, prossimo ad essere riassorbito nell’area delle nuove povertà.
Siamo, dunque, tornati indietro di due secoli, quando, agli albori della Rivoluzione Industriale, la società europea era divisa in due opposti ceti, mancando allora la classe media, che si è venuta formando nel corso di questi duecento anni, per effetto delle politiche di crescita, realizzate dagli Stati del vecchio continente, che hanno consentito di ridistribuire la ricchezza, quando l’economia era nella piena fase espansiva.
Il ritorno alla condizione ottocentesca, certo, non aiuta né i padri, né i figli a vivere con serenità, visto che viene meno, per entrambe le categorie, l’idea stessa di un futuro, che non si riduca a mera aspettativa di un lento, graduale consumarsi di opportunità, che diventano – progressivamente – sempre più rare e meno seducenti.
Marx aveva previsto che la rivoluzone scoppiasse negli Stati a maggiore industrializzazione, mentre – come la storia insegna – essa è scoppiata nel Paese più arretrato dell’Europa dell’inizio del XX secolo, cioè nella Russia degli zar, che era ai margini della società industriale, molto più avanzata negli altri Paesi europei.
Oggi, fortunatamente, i timori di un cambiamento cruento sono del tutto infondati, perché non siamo in presenza della recrudescenza di fenomeni violenti, come quelli che si realizzarono alla fine dell’Ottocento e nella prima parte del Novecento.
Però, non bisogna sottovalutare gli effetti della proletarizzazione del ceto medio, perché viene meno progressivamente quel corpo intermedio nella società, che, nei decenni scorsi, è stato un baluardo della conservazione dell’ordine borghese – per usare un’espressione intinta in un lessico marxiano – mentre, oggi, esso è fortemente critico verso i processi di internazionalizzazione dell’economia, che hanno sicuramente determinato un impoverimento generalizzato di vasti strati della popolazione, che - fino a pochi anni or sono - potevano assicurare ai loro figli un presente molto dignitoso ed, altresì, potevano loro garantire una prospettiva d’avvenire.
La società odierna nasconde, invece, dei focolai di violenza assai pericolosi, che spesso provengono da ceti fortemente istruiti, che hanno difficoltà ad intravedere un futuro; per tal motivo, la contestazione al sistema economico-finanziario, creato dai funzionari e dai politici di Bruxelles e Berlino, non può che essere radicale ed, in particolare, nascondere una potenziale forza dirompente, i cui effetti sono difficilmente prevedibili, visto che - fortunatamente - siamo solo agli inizi di un percorso di logoramento del tessuto sociale, nato per effetto dello scollamento dell’economia capitalistica.
Sarà la classe dirigente dei nostri Stati in grado di arrestare un simile fenomeno, prima che le conseguenze non siano troppo gravi ed incombenti?
Rosario Pesce