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L’Italia che ci piace…

L’Italia, che ci piace, è articolata e complessa: ci piace un sindacato, la C.G.I.L., che, nonostante il rischio della solitudine, conduce una battaglia in difesa dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, ben sapendo che, a volte, il valore simbolico di un principio giuridico va ben oltre la concreta importanza dello stesso; ci piace un giornalista, Ferruccio De Bortoli, che, benché dimissionario dalla carica di Direttore del più importante giornale italiano, in contrapposizione con l’orientamento di alcuni soci, componenti il CdA della sua testata, scrive un articolo di fuoco contro il Governo e, soprattutto, contro il Premier, accusandolo - senza giri di parole - di essere non credibile, tanto agli occhi degli Italiani, quanto degli organismi comunitari, presso i quali lo stesso, pure, vorrebbe accreditarsi a furor di battute nel colorito vernacolo di Dante; ci piace un imprenditore, Della Valle, che, nel pomeriggio di un’assolata domenica autunnale, non solo dichiara guerra all’Esecutivo in carica, ma in particolare spiega agli Italiani quanti danni hanno prodotto i suoi tristi colleghi che, in manica di maglione, hanno trasferito fuori dall’Italia grandissimi gruppi imprenditoriali che, fino al giorno precedente, hanno munto ricchezze, dal seno della nazione, fino all’ultima goccia di prosperità, che il Paese è stato in grado loro di offrire; ci piace una regista - che prima faceva un mestiere ben diverso - che ha avuto il coraggio di creare una pellicola, in cui descrive la storia degli ultimi venti anni dell’Italia, mostrando come molte personalità, finora indiscusse, hanno invece responsabilità di non poco peso nella deriva economica, morale e politica italiana; ci piace, ancora, la Conferenza Episcopale, che, uscendo dal suo solito atteggiamento di sostegno al potente di turno, spiega al Presidente del Consiglio (sempre lui, purtroppo!) come le battaglie ideologiche, in materia di diritti dei lavoratori, non meritano di essere condotte, se non apportano vantaggi concreti alla nazione, suggerendogli, peraltro, di chiarire agli Italiani e a se stesso gli obiettivi di un mandato che, iniziato sotto i migliori auspici, sta procedendo tra insuccessi ed annunci, a cui non fa seguito alcun risultato percepibile, se non la pubblicazione del breve tweet giornaliero, ormai sempre più raro e meno seducente; ci piace l’Italia, che non si reca alle primarie di un partito, perché quello stesso - nella regione dove, tradizionalmente, è più forte - in nome del rinnovamento delle proprie classi dirigenti non ha saputo elaborare una proposta politica credibile e si è limitato al mero ricambio anagrafico, che - sovente - non è condizione né necessaria, né sufficiente per materializzare un impegno serio nelle istituzioni; ci piace l’Italia, infine, che, tra mille difficoltà economiche, si reca ogni mattina al lavoro, sapendo bene che, da ogni goccia del proprio sudore, può nascere la prospettiva di futuro per sé e per i propri figli, anche se molta parte di quell’ipotetico futuro è stata divorata dalla corruzione, dalla grande criminalità organizzata e dai privilegi di una casta invisa, che - tuttora - non ha preso atto del fastidio che la pubblica opinione prova nei suoi riguardi e tenta di resistere al processo di delegittimazione, che invece procede assai velocemente, giorno per giorno. 
Questi volti dell’Italia, che ci piacciono, sono molti diversi fra loro; negli anni scorsi, essi hanno compiuto scelte politiche distinte e, spesso, contrastanti, ma oggi convergono nel contestare - sia pure in forme diverse - il presente, perché ritengono che esso non sia all’altezza dei sogni e delle aspettative, nutriti dalle generazioni che, in passato, hanno contribuito a fare dell’Italia la quinta potenza mondiale. 
Il Paese versa nelle medesime condizioni di un pugile, picchiato dall’avversario, che vede vicina la conclusione infausta dell’incontro: non gli resta che pregare in cuor suo che il gong suoni quanto prima, perché non nutre altra speranza che quella della corsa lontano dal ring e dagli occhi degli spettatori. 
Orbene, l’Italia sta vivendo il momento peggiore della sua storia e, contrariamente al protagonista della similitudine, tratta dal mondo dello sport, essa non ha una seconda chance: a breve, o fallirà o andrà avanti grazie ad un fortissimo rilancio, ma, perché questo avvenga, è necessario che il destinatario degli atteggiamenti critici - che abbiamo sopra descritto - o si fa concreto artefice del cambiamento o lascia il posto ad un successore, meno seducente nell'eloquio, ma forse più capace di lui di creare autentico consenso intorno a sé. 
Ma, forse, quella che stiamo ipotizzando è, solamente, una favola a lieto fine, mentre il vero incubo si materializza sempre più e, neanche, ce ne accorgiamo? 


Rosario Pesce

 

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