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Se l’opposizione la fa Della Valle…

L’espressione - non infelice da un punto di vista televisivo - usata da Della Valle nei riguardi di Renzi e Marchionne, definiti dal proprietario della Fiorentina come due “sòla”, dimostra bene il livello del dibattito politico, in questo momento, nel nostro Paese: ormai, l’opposizione al Governo e, soprattutto, al suo Presidente viene promossa non tanto dai partiti, tutti colpevolmente acquiescenti all’Esecutivo per ragioni di mera opportunità, ma da ambienti extra-politici - che sono molto efficaci nella loro azione - perché, come nel caso del notissimo imprenditore marchigiano, possono contare sulla forza economica del proprio impero e sulle simpatie della stampa, allineata ai voleri del potere economico. 
Non a caso, Della Valle è uno degli azionisti di riferimento della società che edita il Corriere della Sera, cioè quella testata che, nei giorni scorsi, ha sferrato l’attacco più forte contro Renzi, apostrofato con aggettivi, anche, più duri rispetto a quelli usati dal proprietario di Tod’s nel corso della conversazione televisiva con Floris. 
Certo è che Renzi non sta vivendo il momento migliore, visto che, ogni giorno, subisce giudizi non edificanti da parte di questo o quel protagonista della vita nazionale: prima di Della Valle, era stata la Conferenza Episcopale a fornire dei suggerimenti al Presidente del Consiglio, mettendo in evidenza la sostanziale inconcludenza del suo operato, dal momento che, secondo l’organismo, che riunisce i vescovi italiani, andrebbe rifatta l’agenda dell’Esecutivo, dando priorità a pochi, ma fondamentali bisogni del Paese. 
Parole, queste, invero molto più eleganti di quelle adoperate da Della Valle, ma altrettanto dure ed aspre contro il povero Renzi, che, da parte sua, non sa usare altra argomentazione che quella secondo cui le antipatie, che riceve, sono giustificate dal fatto che egli attacca gli interessi ed i privilegi dei poteri forti italiani. 
Risposta, questa, per nulla convincente visto che, mentre la pronunciava, egli era ospite della Fiat negli USA; quindi, riceveva l’ospitalità del potere forte per definizione dell’Italia di ieri e, forse, ancora di quella di oggi. 
Un aspetto, però, è importante notare nel ragionamento del proprietario di Tod’s; la battuta, circa l’inaffidabilità presunta del Premier, è stata seguita dalla disponibilità offerta per un proprio, possibile impegno diretto in politica: per la seconda volta nella storia del Paese, a distanza di venti anni dalla discesa in campo di Berlusconi, un nuovo grande industriale preannuncerebbe il suo desiderio di entrare nell’agone politico, per sconfiggere i campioni del cattivo Governo e per affermare un nuovo stile istituzionale, diverso sia nella forma, che nei contenuti. 
Ci pare, questa, una notizia non da poco: se, effettivamente, Della Valle facesse seguire i fatti alle parole, il ricambio della classe dirigente sarebbe, di nuovo, affidato ad energie extra-politiche, come se la politica, per l’ennesima volta, non fosse capace di rilevare i difetti contenuti nell’azione dell’odierno ceto dirigente ed avesse bisogno del maestro di turno che, con la penna rossa, evidenzia gli errori grossolani di questo o quel Premier, candidandosi a prenderne il posto o, comunque, a partecipare al varo di un progetto alternativo a quello che, bene o male, guida il Paese. 
Peraltro, come nel caso di Berlusconi, l’imprenditoria, che si candida a guidare le istituzioni pubbliche, vanta la proprietà di importantissimi mezzi di comunicazione di massa, per cui ci troveremmo di fronte ad una nuova edizione del conflitto di interessi, mai affrontato e risolto, visto che la Sinistra e la Destra, nel corso dell’ultimo ventennio, hanno operato per non eliminare alla radice uno dei mali maggiori della democrazia italiana. 
Noi nutriamo simpatia verso Della Valle, perché non dimentichiamo quando, quasi da solo nel mondo di Confindustria, ebbe il coraggio di attaccare Berlusconi, così come apprezziamo moltissimo il Della Valle che attacca Marchionne, perché riteniamo un grave vulnus nella storia dell’industria italiana l’operazione, portata a termine dall’amministratore delegato di Fiat, tesa a trasferire fuori dall’Italia sia i centri di produzione, che la sede legale del nuovo gruppo realizzato con la Chrysler; però, temiamo molto le aspirazioni di carriera politica dello stesso Della Valle, come di qualsiasi altro grande imprenditore, perché crediamo fermamente che, in un Paese normale, l’imprenditoria debba fare il suo mestiere, molto diverso dalla politica, e - per certi aspetti - anche più importante di quello della rappresentanza della volontà popolare, dal momento che un’Italia priva di grandi imprenditori, come si avvia ad essere, diventerebbe paragonabile ad un essere vivente privo di una struttura portante. 
Pertanto, noi diffidiamo sempre, quando ascoltiamo i propositi - per quanto giusti e nobili - di questo o quell’industriale, desideroso di misurarsi con il consenso e la guida delle istituzioni rappresentative del Paese: crediamo giusto che il Capo di una grande azienda possa fornire suggerimenti o consigli a chi governa uno Stato, ma certo la distanza fra il Capitale e l’Assemblea democratica deve essere netta e percepibile, se si vuole evitare che una miscellanea di interessi di natura dubbia e promiscua non finisca per condizionare l’evoluzione democratica di una nazione – come la nostra – che, negli ultimi settant’anni, ha subito troppi stop forzati, dovuti a condizioni atipiche sia internazionali, che interne. 
D’altronde, i politici dove sono? 
Perché essi non agiscono, allo scopo di evitare che il grande imprenditore di turno possa togliere loro il mestiere, grazie al sostegno di una stampa amica e dolcemente prona al volere del proprio editore? 
Come si percepisce, l’Italia rimane un Paese con moltissime anomalie, che tenderanno, purtroppo, a crescere per effetto della crisi economico-finanziaria, che imperversa ormai da sette anni; non basteranno, invero, le battute e le espressioni felici, da un punto di vista retorico, del Premier attuale per arrestare il processo di delegittimazione del mondo della rappresentanza partitica. 
Si ha la sensazione, piuttosto, che si avvertirà sempre più il bisogno di una funzione suppletiva della politica, nei prossimi anni, da parte – di volta in volta – della grande imprenditoria o della magistratura o dei banchieri o del ceto dei boiardi e dei burocrati di Stato: ormai, il governo delle élites, seppur democraticamente legittimato, prenderà il posto progressivamente dei politici di professione, cosicché il ricambio non sarà solo generazionale, ma si dimostrerà, soprattutto, funzionale ad un’inversione dei rapporti di forza tradizionali fra poteri elettivi e poteri meritocratici/baronali, di natura economico-finanziaria o accademica. 
Era, proprio, questa l’Italia che ci saremmo aspettati, un decennio fa, al volgere del secolo e del millennio scorso? 


Rosario Pesce

 

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