Se l’Europa si disgrega…
Il referendum in Scozia, che potrebbe proclamare l’indipendenza scozzese dal Regno Unito, rappresenta un fatto di fondamentale importanza, non solo per i futuri destini della Corona inglese.
Infatti, qualora l’esito referendario portasse all’autonomia della Scozia, si aprirebbe nel nostro continente una dinamica disgregatrice di dimensioni non facilmente prevedebili: moltissime sono le regioni annesse a Stati, da cui vogliono ottenere, in breve tempo, l’indipendenza ed, eventualmente, l'esito felice della vicenda relativa al Regno Unito costituirebbe, per queste comunità, un esempio da emulare, sollecitando dunque effetti perversi.
In Italia, la Lega, da venti anni ormai, parla di separatismo, ma è evidente che il movimento, creato da Bossi, sa bene che la prospettiva della separazione da Roma non è praticabile in un Paese, come il nostro, dove le regioni settentrionali assorbono gran parte delle risorse che producono, per cui l’eventuale scissione del Nord dal resto dell’Italia non incontrerebbe, neanche, effettivi elementi di vantaggio, da un punto di vista strettamente economico.
Ben diversa è, invece, la situazione altrove, dove i movimenti separatisti da secoli tentano, inutilmente, di acquisire l’agognata indipendenza da Stati con cui ritengono di non dover condividere niente, visto che notevoli sono, in alcuni casi, le differenze culturali, linguistiche e religiose fra le varie comunità presenti sul territorio governato dalla medesima autorità nazionale, come accade per i Baschi ed i Catalani in Spagna.
Se una tendenza siffatta dovesse trovare conferma e, soprattutto, se alcune realtà nazionali dovessero conseguire l’obiettivo attraverso azioni legali - come nel caso della Scozia - o azioni terroristiche – come, per molti secoli, è avvenuto in Irlanda - è chiaro che la carta geo-politica del continente europeo cambierebbe in maniera considerevole ed, in particolare, si tornerebbe ad un assetto, che ricorderebbe molto da vicino la mappa dell’Europa in pieno Medioevo, quando gli Stati regionali erano assai più numerosi di quelli nazionali, visto che il processo risorgimentale, che ha definitivamente fatto scomparire le autorità locali in favore degli Stati-nazione, si è concluso solo alla fine del secolo XIX, con l’Unità italiana e quella tedesca, rispettivamente conseguite nel 1861 e nel 1870.
È ovvio che la crisi finanziaria ed economica, iniziata nel 2007 e mai effettivamente terminata, costituisca un elemento di accelerazione dei processi di disgregazione, perché le mutate condizioni di vita di migliaia di famiglie inducono le persone ad individuare un capro espiatorio e, naturalmente, laddove è già presente un odio atavico, legato a motivi campanilistici, questo si ripresenta in forme sempre più accese, per cui si risvegliano antichi istinti, che si pensava e si sperava, soprattutto, fossero sopiti definitivamente.
Purtroppo, la contingenza storica ha determinato una condizione ben diversa rispetto a quella che i Padri dell’Unione Europea avevano sperato fino a pochi anni or sono: il sogno di un continente unito dal Mediterraneo al Mar del Nord, dall’Oceano Atlantico agli Urali sembra che stia fallendo a causa dei rigori finanziari imposti dalla burocrazia di Bruxelles e, più in generale, dal legislatore comunitario.
Sarebbe opportuno, quindi, che, dopo un decennio circa dall’introduzione della moneta unica, si ripensi seriamente all’assetto continentale, per evitare che il vento della scissione spiri ancora forte e produca altre vittime, oltre a quella anglo-scozzese.
È necessario che le politiche rigoristiche siano riviste e che l’Unione Europea autorizzi di nuovo gli Stati a creare debito, per alimentare lo sviluppo in quelle regioni più deboli, come lo è la Scozia rispetto all'Inghilterra o come può esserlo il Mezzogiorno d’Italia rispetto al Nord, comunque sempre più ricco ed avanzato delle regioni poste a sud di Roma.
Se questa inversione di marcia non dovesse prodursi a breve, il rischio che la disgregazione possa avvenire, in talune regioni del continente, anche con il ricorso alla violenza e non solo ai mezzi democratici, messi a disposizione dalla legislazione vigente, è altissimo e potrebbe determinare l’innesco di una dinamica molto ampia e pericolosa, all’origine della quale, inoltre, potrebbero avere un ruolo fondamentale le differenze religiose, che in talune aree europee sono stridenti, visto che in Europa convivono cattolici e protestanti, cristiani e musulmani e, per effetto dei flussi migratori provenienti dal Nord Africa, la presenza islamica sta divenendo preponderante in alcune regioni maggiormente esposte all’immigrazione africana ed asiatica.
Forse, è arrivato il momento che il continente europeo torni ad investire, finanche producendo nuove passività, se si vuole evitare che, nel giro di qualche decennio, l’Europa sia ridotta a teatro di guerre non dissimili da quelle medioevali?
Il ritorno eventuale a Stati regionali costituirebbe una sconfitta per tutti noi, perché nessuna di queste nuove entità statuali sarebbe in grado di competere con le potenze nascenti del Sud-America e dell’Estremo Oriente, da cui verrebbero schiacciate, viste le diverse potenzialità economiche e militari.
Forse, vogliamo costruire un’Europa divisa e succube di spinte disgregatrici, che, nel breve lasso di tempo, causerebbero cruente guerre civili?
Forse, l’attuale Europa germano-centrica non corrisponde al modello di Unione, in cui tutti abbiamo creduto?
Quando essa cambierà radicalmente, per non apparire il giardino di Berlino?
Nei prossimi venti anni, si giocherà una partita politica fondamentale per i destini dei nostri figli: ci si può augurare che la saggezza prevalga su interessi egoistici, che non assicurano alcun margine di crescita e possono, solo, alimentare prospettive inquietanti di morte?
Rosario Pesce