Se Renzi alza bandiera bianca...
È evidente a molti che, dopo il successo delle elezioni europee dello scorso mese di maggio, il Premier si trova a vivere il momento peggiore del suo mandato, visto che, ormai da qualche mese, la maggioranza, che regge il Dicastero attuale, non è in grado di portare a termine alcun provvedimento importante, fatta eccezione per quello inerente agli 80 euro, dati in busta paga agli Italiani, che ha consentito allo stesso Presidente del Consiglio di consolidare la sua posizione elettorale in occasione del voto di primavera.
Infatti, l’esistenza di due maggioranze di fatto - quella con Forza Italia, per il varo delle riforme, e quella senza il partito di Berlusconi, per l’esistenza quotidiana del Governo - sottopone il buon Renzi ad uno stress non irrilevante, perché le faide interne ai partiti stanno prendendo, progressivamente, il sopravvento rispetto ad un possibile, ordinato svolgimento della vita parlamentare.
La mancata elezione al seggio della Consulta di Violante e Bruno rappresenta la dimostrazione più autentica che gli accordi, stipulati con Berlusconi, non reggono al vaglio dell’Aula, dal momento che i franchi tiratori si annidano sia all’interno di Forza Italia, che del Partito Democratico.
È ovvio che simili incidenti di percorso hanno, sempre, costellato la vita dei Governi e delle maggioranze parlamentari spurie, ma è anche altrettanto vero che, ora, Renzi si trova ad essere bersaglio del fuoco incrociato di entità internazionali, dalle quali non potrà mai difendersi adeguatamente se, innanzitutto, in Italia non ha adeguate coperture istituzionali.
Ormai, sono giorni che sia l’Unione Europea, sia le principali Banche d’affari del mondo, che sono solite fare la verifica circa la solvibilità dei conti degli Stati nazionali, hanno denunciato, in modo molto roboante, le difficoltà del nostro Paese, che nel 2014 continuerà ad avere un PIL negativo - come quello del primo semestre - e, probabilmente, nel corso del 2015 non sarà in grado di invertire la rotta, per cui la recessione durerà – come si ipotizza a Bruxelles – per, almeno, altri diciotto mesi.
Se questo dato dovesse essere confermato, saremmo di fronte alla peggiore crisi finanziaria ed economica degli ultimi settant’anni, visto che l’Italia aveva vissuto un altro periodo di deflazione, solo, nel lontanissimo 1959 ed, in particolare, mai così platealmente il Governo era stato bacchettato dalle autorità comunitarie, che hanno fatto intendere quanto vicino sia il baratro, dal momento che la condizione italiana odierna è sempre più assimilabile a quella della Grecia e dell’Argentina di pochi anni fa.
In un tale contesto, anche la Magistratura ha iniziato a regalare dei dispiaceri a Renzi, sia inviando degli avvisi di garanzia ai suoi due uomini - Bonaccini e Richetti - che avrebbero dovuto contendersi la Presidenza della Regione italiana più rossa, l’Emilia Romagna, sia intervenendo in modo molto forte contro i vertici di Eni, la principale azienda del Paese, i cui ultimi due amministratori delegati sono stati indagati per una presunta vicenda di tangenti internazionali.
Il paradosso è servito: il rottamatore, l’assertore di un rinnovamento generazionale ampio e profondo all’interno del suo partito, così come dentro le istituzioni statuali, si ritrova con i suoi principali collaboratori di partito indagati per un'antipatica vicenda di peculato - ancora tutta da chiarire - e scopre che i vertici, da lui stesso nominati, del principale asset industriale del Paese sono al centro di un’indagine che - se trovasse conferma negli esiti successivi degli inquirenti - configurerebbe uno dei maggiori scandali italiani, dopo quelli degli anni Settanta ed Ottanta, che fecero emergere il marciume che esisteva, allora, nel mondo composito dell’industria pubblica e fra i grandi boiardi di Stato.
Ultima emergenza renziana è rappresentata dall’approvazione del Jobs Act - il provvedimento in materia di lavoro - che non è arrivato alla conclusione naturale del suo percorso parlamentare, viste le opposizioni del Sindacato, che trova una sponda preziosissima all’interno dello stesso PD, oltreché dei partiti di minoranza, M5S e SeL.
È chiaro e comprensibile, dunque, che a Renzi, in una condizione siffatta, non resti altro che mostrare fieramente il petto – come ha fatto, oggi, in Parlamento – e sfidare tutti coloro che lo osteggiano, in maniera più o meno palese, sapendo bene che, in caso di mancato varo del Jobs Act, non resterebbe altra strada che quella delle elezioni anticipate, per avere auspicabilmente una maggioranza, nel futuro Parlamento, più coesa e coerente con i propri indirizzi politici.
Appare, altrettanto, evidente che, con la minaccia del voto anticipato, Renzi stia giocando l’ultima carta, rimastagli a disposizione: se, anche, questa non gli consentirà di vincere la scommessa della governabilità, non gli resterà allora che ammettere i propri errori - a partire dal colpo mancino tirato contro Letta, non sostenuto a sufficienza, quando questi era a Palazzo Chigi - e sperare che gli Italiani, sul suo conto, la pensino ancora come nello scorso mese di maggio.
Rosario Pesce