Il mio augurio di buon anno scolastico
Lunedì prossimo, inizierà la scuola in moltissime regioni italiane, per cui gli alunni, dopo tre mesi circa di vacanza, torneranno fra i banchi, per terminare un ciclo di studi già iniziato ovvero per cominciarne uno nuovo, come nel caso di chi transita da un ordine scolastico all’altro.
L’anno, che sta per iniziare, non sarà certamente meno significativo di quelli precedenti, dal momento che si preannunciano le riforme, che il Governo Renzi ha anticipato nel corso dei primi giorni di settembre: non sarà, quella preannunciata, una vera e propria riforma, visto che non metterà mano agli ordinamenti, ma invero cambieranno le sorti di migliaia di lavoratori, qualora dovesse essere mantenuta la promessa delle centocinquantamila assunzioni, da formalizzare nel settembre 2015, e qualora il sistema degli scatti di carriera, per automatismi di anzianità di servizio, dovesse essere sostituito da logiche meritocratiche.
Inoltre, nel prossimo giugno, subirà una modifica l’Esame di Stato, per cui, per la prima volta, gli allievi dei Licei e degli Istituti Tecnici dovranno studiare una disciplina del loro curricolo in lingua: naturalmente, sia la materia, che la lingua saranno indicate dal Collegio Docenti, in linea con le indicazioni pervenute dal Ministero, che suggeriscono alle scuole di operare sull'area disciplinare di indirizzo.
Al di là di questi cambiamenti, sarà però importante vincere una scommessa, che negli ultimi tempi, puntualmente, è stata disattesa: sarà necessario, infatti, dare nuovo slancio alla scuola, facendo sì che essa recuperi lo smalto ed, in particolare, la centralità che ha avuto fino a qualche anno or sono.
Questa sarà una battaglia non facile a vincersi, visto che l’obiettivo è ambizioso ed, invero, il traguardo non potrà essere raggiunto nel corso di un solo anno scolastico o per merito, semplicemente, di questo o quel Presidente del Consiglio: è giusto, infatti, che l’intero consesso sociale prenda, finalmente, coscienza dell’importanza di un servizio pubblico, che consente all’uomo di uscire, compiutamente, dalla minore età e di entrare, a pieno titolo, nel mondo degli adulti con la giusta fierezza degli studi compiuti.
Purtroppo, la perdita di centralità della scuola ha molte cause, alcune delle quali sono state, davvero, determinanti nel ridimensionare l’importanza dell’istruzione: innanzitutto, i media hanno contribuito non poco a spostare il luogo elettivo dell’educazione dai banchi alla tv ed alla rete, per cui oggi qualsiasi adolescente impara molto più velocemente scaricando da Internet materiale divulgativo - di varia natura e diversa qualità - piuttosto che partecipando alle lezioni frontali, a cui è abituato in ambiente scolastico.
Poi, c’è un fatto centrale, che tende ad indebolire sempre più la scuola: le prospettive di lavoro. Queste, purtroppo, nel nostro Paese paradossalmente sono, talvolta, più penalizzanti per coloro che hanno un grado di istruzione medio-alto.
Non è un caso se, spesso, i diplomati tendono a trovare lavoro più agevolmente dei laureati, per i quali non c’è, talora, alternativa al viaggio coatto oltre i confini nazionali, dove il titolo di studio superiore viene apprezzato maggiormente che da noi, sia nel mondo dell’impresa privata, che in quello dell’accademia: in altre realtà europee, infatti, il baronato è meno forte e vincolante, per i destini dei giovani, di quanto non lo sia in Italia.
Infine, i costi: mandare a scuola un figlio e, magari, far sì che egli consegua, almeno, una laurea triennale comporta delle spese notevoli per le famiglie, che hanno, ormai, sempre meno danaro da spendere per effetto della crisi economico-finanziaria, che sollecita l’inasprimento della leva fiscale, costringe molti genitori alla disoccupazione e, quindi, non li pone nelle condizioni materiali più opportune per garantire gli studi ai figli che, pure, avrebbero talento e capacità per andare avanti nel percorso di istruzione superiore.
C’è, però, un dato su cui bisogna riflettere: lo Stato italiano, nell’ultimo decennio, ha speso molto meno di altre nazioni in materia di istruzione e ricerca universitaria, per cui questo fattore non ha favorito né l’implementazione delle politiche scolastiche, né la ripresa economica, dal momento che il mancato investimento di un Paese in cultura rappresenta un freno rilevante per lo sviluppo, che può ripartire solo se, complessivamente, si torna ad avere fiducia nei giovani e si cura il loro avvenire professionale e formativo.
Dal Governo Renzi - anche se ci troviamo a vivere in tempi di spending review - ci aspettiamo, tutti, che una siffatta condizione venga radicalmente capovolta, per cui è auspicabile che il comparto della Pubblica Istruzione non subisca i tagli – più o meno – lineari, previsti per i prossimi mesi.
Potremo, così, finalmente festeggiare l’avvio di un nuovo anno scolastico all’insegna del ritrovato entusiasmo e del desiderio di mettersi in gioco da parte di bambini ed adolescenti?
Rosario Pesce