Alla ricerca dello slogan migliore…
La politica italiana degli ultimi tempi sembra essere sempre più intrisa di slogan, che, irradiati attraverso Tweet, si arricchiscono dell’immancabile hashtag.
Da “L’Italia riparte” a “Passo dopo passo” la distanza temporale è breve, anche se appare molto più lungo il salto operato in termini politici: evidentemente, il primo indicava l’ottimismo di Renzi, che, appena insediato, esprimeva la volontà di rinnovare profondamente lo stato delle cose, potendo contare sull’entusiasmo tipico di chi, all’inizio di un nuovo lavoro, sa di poter fare bene ed è cosciente di essere portatore di un’istanza molto forte di cambiamento.
L’altro slogan, promosso solo qualche giorno fa, invece è espressione di un senso di moderazione e prudenza, che si è venuto articolando dopo che, per effetto di sei mesi di Governo, ci si è resi conto che l’entusiasmo da solo, purtroppo, non basta e che, nonostante il carattere volitivo del Premier, la sfida della politica - oggi - è, particolarmente, difficile ed insidiosa.
Innanzitutto, è ampia la sfiducia, che gli elettori nutrono verso il mondo della rappresentanza elettorale: non è un caso se lo stesso Renzi paghi, in qualche modo, un prezzo ad un tale sentimento condiviso da moltissimi Italiani.
Infatti, i sondaggi ultimi descrivono come altissimo il livello di gradimento personale del Presidente del Consiglio, che andrebbe ben oltre il 60%, mentre il suo partito, il PD, riceve le simpatie di poco più del 35% dell’elettorato italiano intervistato, che si dichiara disponibile a votare per la formazione cui appartiene, attualmente, l’inquilino di Palazzo Chigi.
Naturalmente, siffatta discrasia pone una problematica di non poco peso: benché ad essere trascinante sia il livello di consensi, che è in grado di attrarre il leader, se il partito di un Premier tanto amato riesce a raccogliere solo la metà circa del potenziale elettorato, che nutre simpatie verso il suo Segretario Nazionale, tale circostanza non può che rendere molto meno agevole l’intero percorso riformatore e danneggiare lo stesso Presidente del Consiglio in carica.
Qualunque sia il meccanismo con cui si andrà al voto, fra primo e secondo turno ovvero in Parlamento dopo le elezioni, il PD dovrà, necessariamente, stipulare alleanze o accordi elettorali con altre forze, per raggiungere quella soglia virtuosa di seggi camerali, che gli potrà consentire di governare serenamente il Paese per un periodo abbastanza lungo, possibilmente per l’intera prossima legislatura.
Quindi, anche per Renzi la sfida del consenso si presenta su due versanti: quello strettamente personale e quello dell’intero schieramento, che, alle future elezioni generali, lo indicherà come candidato alla Presidenza del Consiglio.
Pertanto, nella misura in cui il meccanismo ipotizzato non può, per vincoli costituzionali, prevedere un voto disgiunto per il candidato Premier rispetto a quello di lista – come si fa, invece, in occasione delle elezioni dei Sindaci e di molti Presidenti di Regione – è ovvio che lo scollamento dei cittadini dai partiti, tradizionalmente intesi, determina rallentamenti nei processi riformatori, perché finanche chi – come Renzi – è dotato di un carisma e di un consenso molto forte dovrà, poi, fare i conti con i numeri parlamentari.
Bisognerà, allora, cambiare la Costituzione ed iniziare a discutere del passaggio eventuale ad una Repubblica Presidenziale, alla maniera di quella statunitense, dove il vertice dell’Esecutivo – in quel caso, il Capo dello Stato – ha poteri così ampi, che riesce comunque a governare il Paese, quando il suo partito ha una maggioranza risicata in Parlamento o, addirittura, è in minoranza nelle due Camere elettive?
Oppure, bisognerà attendere lo slogan migliore, che sia in grado non solo di rafforzare la visibilità sociale del Premier, ma che - al tempo stesso - induca gli Italiani a votare, anche, per il suo partito in modo, altrettanto, copioso ed entusiastico?
D’altronde, se i partiti sono giudicati, ancora, dalla pubblica opinione al rango di entità moralmente disdicevoli, perché riesce a salvarsi, invece, da siffatto discredito generale chi è figlio o meglio – come si dice in gergo – è “carne e sangue” dei meccanismi di selezione della classe dirigente, ideati e messi in essere da un sistema politico-democratico, ormai, inviso a chi dovrebbe esserne partecipe protagonista?
Rosario Pesce