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Quando eravamo democratici…

Negli anni Novanta, la Sinistra italiana, che usciva dal cinquantennio della I Repubblica, subendo la sconfitta del Comunismo a livello europeo, si fece promotrice di una stagione referendaria di importanza straordinaria, che determinò il crollo del ceto politico, che aveva governato il nostro Paese negli anni Ottanta. 
Infatti, l'allora PDS – poi, Democratici di Sinistra – sposò le tesi di Mariotto Segni, per cui l’Italia, nel biennio 1992-94, passò progressivamente da un sistema di voto di tipo proporzionale, con quattro preferenze, ad uno con una sola preferenza e, poi, ancora ad un sistema compiutamente maggoritario, uninominale a turno secco. 
Questa metodologia di voto è stata fondamentale, perché ha scardinato i gruppi dirigenti della Democrazia Cristiana e del Partito Socialista, che erano organizzazioni partitiche elefantiache, bisognose, per vincere, di un apparato di potere molto forte e consolidato, in grado di mobilitare il loro elettorato. 
L’introduzione, prima, della preferenza unica e, poi, del maggioritario all’inglese fece saltare un automatismo, che generava consenso - a volte - in modo criminale, soprattutto nelle aree meridionali, dove il controllo del voto è, tuttora, in piedi e viene operato da una consorteria, che mette insieme la grande criminalità organizzata, la massoneria deviata ed i politici sensibili all’aiuto, che possono ricevere da famiglie capaci di condizonare la libera espressione della volontà elettorale. 
Il Mattarellum, cioè il sistema maggioritario a turno unico, pertanto, è stato in vigore per un decennio circa, creando condizioni di libertà e piena partecipazione da parte di cittadini e soggetti associativi: infatti, i partiti sono stati indotti, anche dal meccanismo elettorale, a non essere autoreferenziali e ad entrare in ascolto di quanti, nella società, occupano posizioni rilevanti o sono, comunque, portatori di interessi legittimi. 
Berlusconi e la Lega, alla vigilia delle elezioni politiche del 2006, fiutando la sconfitta, decisero di modificare la legge elettorale, tornando al proporzionale e, soprattutto, introducendo un elemento giammai presente nella tradizione del nostro Paese: la lista bloccata, per cui l’elettore, nella cabina, non deve esprimere alcuna preferenza, ma si limita a scegliere il partito che pubblica, prima del voto, un mero elenco di candidati, i quali saranno eletti in base alla posizione occupata in lista, che viene decisa, a livello romano, dai vertici. 
Così facendo, i Segretari Nazionali hanno un controllo assoluto sui gruppi parlamentari, perché i senatori ed i deputati non vengono eletti, ma, di fatto, sono nominati dai propri capi-bastone ovvero dal leader di turno, che sceglie i parlamentari in virtù del criterio della fedeltà (quando va bene) o sulla base di altri parametri, meno commendevoli e non sempre degni di una democrazia moderna. 
Il PD, per affrancarsi da una metodologia siffatta, celebrò nel dicembre del 2012 le primarie, cosicché i deputati ed i senatori eletti, pur nominati dal Segretario Nazionale, sono stati, in larga parte, indicati da un voto popolare, svoltosi fra tesserati e semplici simpatizzanti, pur sprovvisti della tessera. 
Ovviamente, tale metodo, pur migliorando il sistema di voto, non lo rende autenticamente democratico, dato che la platea degli elettori, in occasione delle primarie, è infinitamente piccola rispetto alla potenziale schiera degli aventi diritto. 
Da molte parti, all’interno del PD, si sono sollevate nelle ultime settimane autorevoli voci, affinché il principale partito del Centro-Sinistra italiano riprenda, in un frangente storico complesso, come quello odierno, il simbolo delle battaglie degli anni Novanta, proponendo il ritorno al maggioritario uninominale (preferibilmente, su due turni di collegio), pur di auspicare un rinnovamento profondo del quadro parlamentare attuale. 
Chi scrive, ha sempre sposato la tesi dell’opportunità di un ritorno al Mattarellum, perché, sebbene imperfetto, è stato, comunque, il sistema che ha assicurato governabilità ed, anche, rappresentanza politica, dato che il maggioritario puro veniva corretto con una quota di proporzionale, allo scopo di assegnare una fetta minoritaria di seggi ai partiti di dimensioni minori, che non sono rappresentati nei collegi uninominali. 
Siamo, ovviamente, coscienti che i problemi della società italiana attuale non possano essere risolti con un mero espediente legislativo, ma crediamo, fermamente, che un Partito ed un’intera area politica, tradizionalmente promotori di cambiamenti notevoli, tutti all’insegna del progresso, debbano tornare a fare battaglie autentiche di civiltà: quella, in favore di un meccanismo di voto, che restituisca piena sovranità ai cittadini, sicuramente lo è. 


Rosario Pesce

 

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