Il complesso berlusconiano della mantide religiosa
Nel consueto editoriale della domenica su Repubblica, Eugenio Scalfari, con la solita lucidità, che gli è congeniale, fa una disamina della condizione politica odierna del nostro Paese, arrivando ad una conclusione inquietante circa il prossimo quadriennio: egli ipotizza che Berlusconi non voglia, affatto, andare al voto anticipato in primavera, ma sia intenzionato a consolidare il rapporto di collaborazione con Renzi, così da diventare l’alleato più forte e fedele dell’ex-sindaco di Firenze.
D’altronde, ogni fatto della cronaca parlamentare, intervenuto nel 2014 in Italia, è la conseguenza diretta del Patto del Nazareno, per cui l’ipotesi affascinante di Scalfari è verosimile: Berlusconi potrebbe avere l’interesse ad entrare di nuovo al Governo, per cui la maggioranza PD-Forza Italia, che oggi dovrebbe solo legiferare in materia costituzionale, diventerebbe a tutti gli effetti l’asse portante dell’Esecutivo, rinnovato, a guida renziana.
I vantaggi per il Caimano sarebbero notevoli: di fatto, il Paese si identificherebbe in due personalità, che non sarebbero in contrasto fra loro.
Da una parte, ci sarebbe il giovane Presidente del Consiglio, desideroso di rimanere a Palazzo Chigi il maggior tempo possibile; dall’altra, invece, campeggerebbe l’anziano imprenditore e leader di partito che, non potendo rivestire incarichi pubblici per lungo tempo, vista la condanna subita l’estate scorsa, ed intenzionato a ritagliarsi lo spazio del Padre della Patria, darebbe il suo contributo ad un Esecutivo, addirittura, guidato dal Segretario Nazionale del partito che, nel corso dell’ultimo ventennio, lo ha maggiormente contrastato, sia per via politica, che (come dice lui) per via giudiziaria.
Lo scenario, descritto da Scalfari, non è fantascientifico, dal momento che le ragioni per contrarre un’alleanza simile ci sarebbero tutte: Renzi e Berlusconi potrebbero giustificare ai loro elettori l’accordo, facendo riferimento alle due emergenze, che non consentono, ora, di sciogliere il Parlamento e di andare, di nuovo, al voto: innanzitutto, le riforme costituzionali, che, per essere varate dalle Camere, hanno bisogno di almeno 18 mesi e, poi, la crisi economica e finanziaria, che rende urgente l’azione forte da parte di un Governo nel pieno dei suoi poteri, per evitare che l’Italia possa fare la fine dell’Argentina, cioè fallire, o possa essere commissariata dalla troika, come la Grecia, perdendo così definitivamente la sovranità in materia di finanza pubblica.
Naturalmente, siffatte problematiche richiedono un Esecutivo, che abbia la possibilità politica di essere in vita per un lunghissimo periodo e che, soprattutto, possa nascere da un accordo il più ampio possibile fra le forze presenti in Parlamento; se così fosse, infatti, solo il M5S rimarrebbe fuori dalla maggioranza, nel corso dell’attuale legislatura, dato che gli altri partiti o ne hanno fatto parte o, comunque, sono localmente impegnati in esperienze amministrative con Forza Italia o con il PD, per cui ne condividono responsabilità gestionali ed amministrative a livello periferico.
L’ipotesi scalfariana, però, non tiene conto di un fattore: l’imponderabile, che in politica è la categoria più importante, visto che ogni disegno – anche, quello più finemente costruito – può andare a scontrarsi con elementi, che non sono immediatamente programmabili, né prevedibili.
Innanzitutto, sulla testa di Berlusconi pendono altri due giudizi, a Napoli e a Bari, per cui, in caso di condanna in uno o in entrambi quei procedimenti penali in corso, saremmo tutti curiosi di capire se il Caimano avrebbe, ancora, l’intenzione di atteggiarsi a Padre nobile della Patria; crediamo, invero, che tornerebbe ad essere quello che sempre è stato, cioè un imprenditore che, appena colpito nei suoi interessi personali ed aziendali, griderebbe contro la Magistratura “comunista” e contro le menti raffinate del Comunismo(?) italiano, impegnate a creargli tranelli ed insidie.
Poi, come abbiamo avuto modo di scrivere in precedenti contributi, urge la problematica relativa alla permanenza di Napolitano al Quirinale; se il voto, per il successore dell’attuale Presidente, non dovesse andare nel senso auspicato dai due contraenti del Patto del Nazareno, ogni ipotesi, pur affascinante, come quella illustrata da Scalfari, si scioglierebbe immediatamente come neve al sole.
E, cosa non secondaria, non dimentichiamo gli interessi economici di Berlusconi: il Governo Renzi dovrebbe tutelare - si presume - anche le aziende del Caimano, ma può agire au plein air, peraltro facendo intendere che interventi siffatti sono la moneta di scambio del sostegno di Forza Italia all’Esecutivo e, soprattutto, al Premier?
L’ultimo leader della Sinistra, che aiutò Mediaset, in cambio della non-belligeranza da parte di Berlusconi, fu D’Alema e, come ricordiamo, la vicenda non si sviluppò nel modo migliore per l’ex-Segretario Nazionale dei DS, dato che il Caimano, dopo aver incassato il vantaggio derivante dalla mancata introduzione della legge sul conflitto di interessi, fece saltare il tavolo della Bicamerale, per cui affossò, in quell’istante preciso, la carriera brillante del dirigente ex-comunista più ambizioso ed intelligente dell’ultimo trentennio.
Renzi non è meno furbo di d’Alema, per cui crediamo che sappia bene che Berlusconi non è solito mantenere i patti, che contrae, finanche quando riceve in anticipo ciò che chiede come ricompensa per i suoi servigi futuri; pertanto, non vorremmo che, come ha già fatto con i precedenti Segretari Nazionali di DS, Margherita e PD, l’ex-Cavaliere si atteggiasse – anche, questa volta – come una mantide religiosa, pronta a divorare il compagno, dopoché vi si è accoppiata.
Renzi è avvisato: saprà trarsi d’impaccio nel momento più opportuno, prima di essere sbranato da chi, non a caso, viene apostrofato come il “Caimano”?
Rosario Pesce