Repetita non iuvant
A volte, nonostante il detto latino, le ripetizioni non giovano, per cui si tende ad andare incontro alla reiterazione del medesimo errore, che – come ben sappiamo – può nascondere una matrice diabolica.
Orbene, entriamo nello specifico della nostra riflessione; ormai, è noto a tutti che il Presidente Napolitano, nel corso del 2015, al compimento del novantesimo genetliaco, intenda dare le dimissioni dall’alto ufficio, che ha presieduto nel corso degli ultimi nove anni.
Si arguisce che, dunque, sia iniziata la corsa alla successione, come d’altronde era ampiamente prevedibile, dal momento che, nella primavera del 2013, quando egli accettò l’incarico di Presidente della Repubblica, tenne a sottolineare che il secondo mandato non sarebbe durato per gli anni previsti dalla Costituzione, ma avrebbe avuto una durata inferiore, compatibilmente con il suo stato di salute e, quindi, con la resistenza agli sforzi fisici ed allo stress, che la funzione di Capo dello Stato richiede per sua natura.
La corsa per il Quirinale, come in qualsiasi altro momento storico, si intreccia sempre con le vicende politiche quotidiane ed, in questo caso, come emerge da voci di corridoio, il famoso (o famigerato?) Patto del Nazareno fra Berlusconi e Renzi, pur non prevedendo un’intesa esplicita sul nome del prossimo inquilino del Palazzo - che sorge sul Colle più alto della politica italiana - sicuramente pone delle premesse, di cui non si può non tenere conto.
È noto che Berlusconi abbia un’acredine - non solo politica, ma vieppiù di natura personale - nei riguardi di Prodi, per cui è molto probabile la voce insistente, ricorrente nei Palazzi romani, che racconta di una “conventio ad escludendum” nei suoi riguardi.
Infatti, dal momento che la proposta della rosa di nomi spetta al PD - in quanto partito di maggioranza relativa nelle Camere attuali - mentre a Forza Italia tocca il compito di convergere su uno dei candidati ventilati dalla controparte, Berlusconi, non avendo la forza per indicare un uomo di sua stretta fiducia, ha però i numero sufficienti per ostacolare, con successo, l’elezione di un suo acerrimo avversario, per cui appare ragionevole che il Caimano, come si dice, abbia posto (o porrà) un veto su un’eventuale elezione del Professore bolognese.
Se così fosse e se Renzi si sentisse, effettivamente, vincolato dalla condizione posta dall’ex-Cavaliere, il problema politico, che sorgerebbe di conseguenza, sarebbe di non poco conto, prospettandosi una situazione analoga a quella del 2013, quando i veti incrociati, all’interno del PD, portarono alla sconfitta dello stesso Prodi e di Marini, che non ricevettero i consensi sufficienti per salire al Qurinale, nel corso delle prime tre votazioni, per cui alla loro candidatura fece seguito quella di Napolitano, nata come espressione unanime di un Parlamento bloccato da guerre intestine alla maggioranza, prefigurata da Bersani.
Renzi, infatti, ha i numeri per governare, anche, per un periodo abbastanza lungo della legislatura in corso, ma invero non ha, oggi, la forza per imporre al suo gruppo l’individuazione di un candidato, tanto più concertato con Berlusconi; infatti, fra Camera e Senato, i parlamentari di stretta osservanza renziana sono in minoranza, visto che i deputati e senatori del PD vennero scelti, nel 2013, dalla Segreteria Bersani, per cui si può ipotizzare che lo stesso Prodi e, soprattutto, D’Alema vantino un seguito, che difficilmente il Presidente del Consiglio può contrastare.
Pertanto, si può agevolmente prefigurare che le due personalità più autorevoli del Centro-Sinistra dell’ultimo ventennio non siano assolutamente fuori gioco, nonostante Renzi faccia di tutto per rottamarli: Prodi vanta un suo prestigio internazionale e potrebbe, questa volta, trovare una sponda importante anche nel M5S, che, non avendo candidati propri, deve trovare nell’area democratica quello che, con maggiore efficacia, sia in grado di far saltare gli accordi assunti fra il Premier ed il patròn di Forza Italia.
Da parte sua, D’Alema non è mai uscito dalla politica nazionale e la sua vitalità è, ampiamente, dimostrata dalla vicenda europea delle ultime settimane: il fatto che l’Unione caldeggi la candidatura, al ruolo di Ministro degli Esteri della nuova Commissione, dell’ex-Presidente del Consiglio rappresenta una prova tangibile delle relazioni internazionali, che egli ancora intrattiene con i Capi di Stato e di Governo dei Paesi più importanti del nostro continente.
D’altronde, l’insistenza, quasi masochistica, con cui Renzi sta tentando di eliminarlo, proponendo per l’alto incarico europeo il nome dell’attuale responsabile della Farnesina, dimostra ulteriormente quanto vitale sia l’ex-leader dei Democratici di Sinistra, che riesce ancora ad incutere paura nei suoi avversari.
Infine, c’è una terza incognita: Letta.
Il predecessore di Renzi, dopo l’uscita di scena, nello scorso mese di febbraio, è apparentemente scomparso, dedicandosi a studi e viaggi, ma siamo sicuri che egli, lontano dalle luci della ribalta, stia giocando una partita molto delicata: quella del rientro in un ruolo importante, da un punto di vista istituzionale, dal momento che, alla sua giovane età, non può già considerarsi un pensionato, per cui, anche se non è candidabile al Quirinale, siamo sicuri che, potendo contare su un discreto numero di parlamentari, appartenenti alla sua componente, egli darà un’indicazione di voto, che non sarà meccanicamente ossequiosa alle indicazioni provenienti dalla Segreteria Nazionale del suo partito ed, in particolare, da Palazzo Chigi.
Come si capisce, l’intero scacchiere della politica nazionale è in movimento: il 2015, fra elezioni regionali già fissate, completamento dell’iter di riforma costituzionale, probabili elezioni politiche e, soprattutto, non improbabile elezione per il Quirinale, potrebbe divenire l’anno di svolta delle nostre istituzioni democratiche.
A gestire l’intera fase sarà un Parlamento – quello odierno – che, più volte, ha già brillato per infedeltà e scarso senso di disciplina rispetto ai diktat provenienti dai vertici delle Segreterie Nazionali.
Siamo consapevoli che, anche questa volta, i colpi di scena non mancheranno, per cui sarebbe opportuno che chi governa il Paese non si eserciti troppo nel prefigurare possibili scenari istituzionali, che poi potrebbero essere messi in crisi da un manipolo di franchi tiratori, tanto esperti nel loro mestiere, quanto desiderosi di rovesciare una situazione, che si sta cristallizzando su equilibri politici discutibili.
Rosario Pesce