Quella voglia matta di referendum...
È noto a tutti che l’articolo 138 della Costituzione prevede che, nel caso in cui una riforma costituzionale non sia approvata, in seconda lettura dai due rami del Parlamento, con la maggioranza dei due terzi, si debba far ricorso al referendum, per rendere definitivo il cambiamento della Carta, votato dalla maggioranza semplice e non qualificata di parlamentari.
È molto probabile che questa situazione venga a realizzarsi, qualora la riforma, fortemente voluta da Renzi, passi il vaglio delle due Camere; in quel caso, il popolo sovrano deciderebbe l’esito dell’intero percorso riformatore, optando per la sua conferma ovvero cancellando il lavoro fatto dalle due Camere, come accadde già nel 2006, quando a patrocinare le modifiche alla Costituzione fu, invano, il Dicastero Berlusconi.
L’eventuale ricorso alla consultazione popolare sarebbe un’autentica prova di democrazia e, certamente, metterebbe fine al contenzioso politico che, in queste settimane, si è aperto fra maggioranza e minoranza che, nel pomeriggio di ieri, si è recata dal Presidente della Repubblica per denunciare la scorrettezza istituzionale – così interpretata dal suo punto di vista – rappresentata dal ricorso, al Senato, alla cosiddetta “tagliola” che, inevitabilmente, abbatterà in modo drastico il dibattito, in fase di svolgimento a Palazzo Madama, costringendo i senatori a votare semplicemente, senza far ricorso ad alcuna strategia dilatoria o ostruzionistica.
Il ricorso al referendum confermativo, benché previsto dalla Costituzione, rappresenta per noi, comunque, un vulnus nella definizione dell’intero progetto di ammodernamento della Carta; infatti, esso è il segnale manifesto che non si è adottato il metodo della concertazione nell’individuazione delle opzioni migliori, praticabili per emendare il testo costituzionale vigente.
Generalmente, le Costituzioni si modificano con metodologie parlamentari ben distinte fra loro ed utilizzabili, di volta in volta, in contingenze storiche non assimilabili: o dopo una guerra civile (come nel caso della nascita della Costituzione repubblicana, che nacque per effetto del biennio della Resistenza e della sconfitta del Fascismo) o durante una fase democratica di transizione, con il contributo pacifico di tutte le forze più rappresentative della società.
Chiaramente, ci troviamo nella seconda situazione, visto che, fortunatamente, non usciamo da un ventennio di dittatura e, dunque, non abbiamo bisogno di realizzare un iter riformatore, facendo uso del metallo delle armi da fuoco; purtroppo, però, le forze politiche che si avviano a riformare la Carta – cioè la maggioranza renziana del PD e quella berlusconiana del PDL – non sono rappresentative di larghissimi strati dell’elettorato, se è vero che il 75% del campione di popolazione, intervistato da un autorevole ente, che promuove e realizza sondaggi, si è dichiarato favorevole al Senato elettivo, così come proposto inutilmente dalla minoranza, in sede di dibattito a Palazzo Madama.
Peraltro, i nostri dubbi si infittiscono, perché non riusciamo a comprendere la “ratio” sottostante ad alcune scelte del gruppo renziano.
Innanzitutto, perché si rinuncia, troppo facilmente, al criterio dell’eleggibilità dei Senatori, che – in linea di principio – dovrebbe favorire la partecipazione e, dunque, lo schieramento politico progressista?
Perché si elimina - di fatto - l’istituto referendario, innalzando la soglia minima di firme per la proposizione di un referendum?
Perché – pur non essendo materia costituzionale, ma oggetto di mera legislazione ordinaria – nella bozza della nuova legge elettorale si prevede, ancora, il criterio delle liste bloccate, già bocciato una volta dalla Consulta, come d’altronde è stato, già, rimarcato dallo stesso Presidente della Repubblica, che pure non è un antagonista del Governo o del progetto renziano?
Perché, infine, si intende richiedere una consultazione popolare, quando la stessa potrebbe essere evitata, se si venisse incontro alle giuste osservazioni delle minoranze, facilitando così ed accelerando vieppiù l’intero iter riformatore?
Sono quesiti, questi, a cui Renzi dovrà pur dare una risposta, in attesa che il popolo sovrano capisca e condivida le motivazioni sottese al suo agire.
Rosario Pesce