Pieghe di gonna
Un breve scritto nel tentativo di evidenziare alcuni tratti salienti di una esistenza femminile senza pretese.
Una storia di donna montorese, con il semplice intento di custodire la memoria di alcune vite, solo in apparenza minori per offrire spunti di riflessione, sulla condizione odierna. Un messaggio alle nuove generazioni che non conoscono vite d’altri tempi. Mia zia Pina è la protagonista di questa storia. Lei usualmente, mi donava le uova fresche, la buonissima marmellata di albicocche, le zeppole di San Giuseppe. Un giorno mi sorprese con un dono diverso dal solito. Una gonna nera, di pregio, di seta, tutta plissé. Questa gonna rappresenta il simbolo della storia stessa.
Si chiamava Giuseppina, detta "A merecana". Nata da Enrico e Michelina il 1929 e deceduta il 2012.
I suoi studi si sono fermati alle elementari durante il periodo fascista. Mi raccontava con fierezza di quel periodo vissuto a scuola, ordine ginnastica femminile e disciplina, le divise indossate dalle scolarette.
Poi nella fase della prima giovinezza la sua vita di colpo cambiò, perse sua madre a causa di una setticemia da aborto spontaneo. Le donne di allora erano gravide ogni anno della loro vita fertile. Non esistevano metodi anticoncezionali. Mia nonna, sua madre, tra un figlio e l'altro abortiva spesso. La levatrice (PRATICONA) montorese di quel tempo, Fortunatina, diceva che aveva il bacino stretto. Per questo motivo, gli ultimi suoi due figli nacquero ad Avellino. Per garantire il buon esito del parto la nonna mise i soldi da parte per affittare la carrozza che la condusse all'antico ospedale di città, vicino al Duomo di Avellino.
Dopo la grave perdita, nel 1940, la famiglia si sfilacciò. Il nonno Enrico si unì con una vedova di guerra, madre di altri due figli e dalla nuova unione nacquero altri quattro fratelli. Zia Pina, in gioventù visse una tenera storia d'amore con il giovane Roberto che purtroppo morì in guerra. Passava le sue giornate tra fatiche e stenti di un postguerra, aiutando il padre nella cantina di famiglia, conservando quei pochi soldi, nelle cannole dei letti di ferro.
Il fratello del padre, suo zio Giuseppe era emigrato in America anni prima, agli inizi del 1900, e spesso inviava casse di merce e soldi in soccorso all'estesa famiglia qui in Banzano di Montoro. Fu quello il periodo in cui la famiglia dagli atti notarili, definiti possidenti, dovettero vendere molte proprietà terriere. Dalle corrispondenze epistolari, lo zio dall’altra parte dell’oceano, veniva messo a conoscenza delle difficoltà che la famiglia viveva e propose a mia zia di emigrare in America. Ovviamente per imbarcarsi doveva acquisire cittadinanza americana. Così zia Pina, si unì in matrimonio con suo zio, per procura.
Si imbarcò da sola sul piroscafo, dal porto di Napoli in direzione Buffalo negli Stati Uniti.
La foto coglie il momento prima dell'imbarco, con il gruppo di familiari e con i documenti di viaggio tra le mani. Credo sia stata la prima donna di Banzano, dopo l'ondata di emigrazione di fine 800 ad aver affrontato questo lunghissimo viaggio, facendo con vero coraggio, un salto nel buio. Il matrimonio per procura divenne, lontano da sguardi paesani una unione vera. A Buffalo NY nacquero i suoi due figli, Enrico e Roberto, quest'ultimo chiamato così in ricordo del suo giovane amore. In quella terra straniera la famiglia viveva molto bene, nel benessere. Il marito imprenditore, l'abitazione di proprietà i panchakes con sciroppo d'acero a colazione, la lavatrice, persino la domestica e la baby sitter.
Ma il richiamo della sua terra prese il sopravvento. Ritornò in Italia nei primi anni 60 e qui rimase fino alla morte, vivendo la sua umile quotidianità, con le sue amate galline, le passeggiate cercando le erbe per il mallone la pizza di granone. La sua spiccata socialità, la forte devozione in San Rocco, il patrono di Banzano. L’allegria, l'aria aperta ed il canto, la sua filsofia di vita.
Grazie a questo strano richiamo, l’attrazione alle proprie origini, ho potuto godere del suo affetto e della sua testimonianza. La donna di successo suscita reazione di complimento, di ammirazione ma è la vita trascorsa in stanze difficili, che racconta l'umanità profonda, la vera condizione femminile del proprio tempo. Le storie di alcune donne sono l'esempio di quanto possa essere diverso il cammino di una persona, a prescindere dal genere. Quanto è stato duro oltrepassare il muro del periodo post bellico per giungere ai nostri tempi, verso quel progresso che negli anni 50 già c'era in America. Tanti hanno patito in quei momenti storici, ma quante pieghe in una gonna! Quante storie di donne taciute, sofferte in silenzio, portando con sé le peggiori esperienze di svilimento e sopraffazione da parte dell'uomo, in una società che non pensava in alcun modo al ruolo della donna. La gonna a plissé, ora non si usa più, qualcuno però ricorderà come era complicato tenere le pieghe perfette! È esattamente ciò che succedeva e succede, sebbene in forme diverse, alla vita di alcune donne. È ciò che successe a mia zia, troppe pieghe difficili da stirare!
mdr