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La Primavera di Sandro Botticelli

A cura di Manuela Moschin del blog Librarte https://www.librarte.eu

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Quando non esisteva la cinematografia c'erano le opere di Sandro Botticelli, che ritrasse a rallentatore la scena di un film. L'artista nella sua "Primavera" ci racconta una splendida favola mitologica, dove figure leggiadre, raffinate ed eleganti si atteggiano nelle loro movenze aggraziate, indossando preziosi abiti arricchiti da veli trasparenti.

La "Primavera" di Sandro Botticelli (1445-1510) è una delle opere simbolo della cultura figurativa occidentale. 

L'opera fu commissionata nel 1478 da Lorenzo di Pierfrancesco de' Medici, cugino di Lorenzo il Magnifico, per la loro residenza di via Larga (oggi via Cavour) a Firenze. Secondo alcune fonti, dopo il 1516, risulta che il dipinto si trovasse nella villa di Castello come si evince da una descrizione di Giorgio Vasari:"[...]; et così un'altra Venere, che le Grazie la fioriscono dinotando (rivelando) la primavera". Pare che il titolo del dipinto derivi proprio da questa sua affermazione. 

La composizione è estremamente armoniosa circondata da un'aura di mistero il cui significato non è stato ancora svelato e per il quale gli storici dell'arte ne hanno discusso molto, fornendo perciò diverse chiavi di lettura che si differenziano una dall'altra. 

Sicché a seconda delle varie interpretazioni ci potremo dilettare analizzando nei dettagli l'opera.

Secondo l'interpretazione storica citata dall'autrice il dipinto sarebbe stato eseguito in virtù della rinnovata fioritura di Firenze nella primavera dei Medici.

La lettura neoplatonica, invece,  ci porta a considerare alcune ricerche approfondite realizzate dai più illustri eruditi storici dell'arte come Ernst Gombrich, Edgar Wind ed Erwin Panofsky.

La scena rappresentata nella "Primavera" pare sia tratta dalle "Stanze per la Giostra" di Agnolo Poliziano derivante probabilmente da un passo "dell'Asino d'oro". Si tratta di un romanzo di Lucio Apulèio, nel quale il protagonista mutato in asino, mentre stava attendendo di riacquisire il suo aspetto umano, assistette a una rappresentazione del Giudizio di Paride dove si narra che egli, in una gara di bellezza tra Hera, Athena e Afrodite, scelse quest'ultima. Il richiamo, pertanto è racchiuso nell'invito a Lorenzo di Pierfrancesco a scegliere anche lui Venere che, secondo la filosofia di Marsilio Ficino (1433-1499),  soleva significare scegliere "l'Humanitas" sinonimo di cultura.

In Venere, dunque, è racchiuso un significato dal valore pedagogico. Attraverso l'influsso dell'amore divino irradiato dalla dea e dalle Grazie avviene una trasformazione, ovverosia Venere in veste di Humanitas (educazione umanistica) tramuta da carnale a intellettuale la passione "volgare" di Zèfiro nei confronti di Cloris. 

Il prato fiorito potrebbe derivare dai versi del Poliziano nei quali Zéfiro, il vento primaverile, bagna il giardino di rugiada rivestendolo di fiori.

La cultura neoplatonica della quale Botticelli fu sostenitore e Marsilio Ficino il maggiore esponente si manifesta, pertanto, secondo questa analisi. Quest’ultimo cercò di conciliare la filosofia greca con la religione cristiana e quindi paganesimo e cristianesimo che disapprovava l’antichità in quanto pagana. I neoplatonici introdussero una nuova visione del rapporto tra l’uomo e l’universo e davano valore all’arte in quanto tramite essa era possibile rappresentare il bello ideale.

L'opera, pertanto, celebra la prosperità, la pace, l'amore e la cultura.

Secondo una lettura legata al committente dalle figure rappresentate si evince che il significato del dipinto è associato all'allegoria del matrimonio tra Lorenzo di Pierfrancesco de' Medici e Semiramide Appiani, nipote di Simonetta Vespucci che, secondo alcuni studi, è la Grazia al centro protagonista anche della Nascita di Venere. 

Ma cerchiamo ora di immergerci nell'opera osservando ciò che ci appare in tutto il suo splendore.

In un bosco su uno sfondo erboso e fiorito sono state rappresentate nove figure di dei e semidei della mitologia greca e romana. In un inventario del 1498 l'opera fu citata come:"Uno quadro di lignamo [...] nel quale è depinto nove figure de donne ch'omini". Le figure sono strettamente coordinate fra loro da destra verso sinistra osserviamo Zèfiro, Cloris, Flora, Venere, Cupido, le tre Grazie e Mercurio. 

Il primo aspetto che colpisce è legato alla figura dei personaggi che sono animati da un evidente vitalismo accentuato dal fluttuare delle vesti, dai gesti e dai movimenti delle ciocche dei capelli. 

In generale l'opera presenta un solido impianto compositivo che si basa essenzialmente su un'architettura vegetale dove lo scorcio punta dritto su un'esedra nella quale Botticelli ha inserito, nelle sembianze di un'antica statua, Venere la dea romana della bellezza e simbolo dell'amore. L'immagine femminile incarna gli ideali di bellezza e di armonia dell'Umanesimo fiorentino intriso di cultura classica. 

Ella, incorniciata dalla pianta di mirto un'essenza che le è sacra e ammantata da un abito sfarzoso, si atteggia con passo di danza. La sua veste è ornata da pieghe fitte e sottili bordate da un motivo di raggi dorati. Indossa una collana di perle con una gemma. Sul manto rosso possiamo notare che Botticelli ha alternato l'azzurro per le parti in ombra e l'oro per quelle in luce, decorando la bordatura di perle. Il suo capo inclinato, la mano alzata in segno di saluto e l'espressione angelica emanano un senso di quiete. I capelli sono raccolti in un'acconciatura composta da un velo con una rete d'oro e un gioiello. 

 

Alla nostra destra Zèfiro il vento primaverile, sta inseguendo Clòris dalla cui bocca esce un ramoscello, segno della fioritura. Il suo corpo è coperto da una veste bianca dalla quale traspaiono le sue forme. Cloris dopo l'unione con Zèfiro si trasformò in Flora (Fig.8-9). Lei, portatrice di vita, ha lo sguardo rivolto verso lo spettatore e le labbra semiaperte in un dolce sorriso. Indossa una veste ornata di fiori e incedendo in avanti sta spargendo rose rosa, rosse e bianche.

Sopra Venere si trova Cupido che è bendato per far innamorare senza vedere.

Egli sta volteggiando e scagliando una freccia contro la prima delle tre Grazie la quale indossa un pendente d'oro con uno zaffiro e una perla, simboleggiante la castità. Le perle sono emblemi di purezza e lo zaffiro era ritenuto capace di mantenere casto chi lo indossasse. Le Grazie nei miti e nei poemi antichi venivano sempre raffigurate assieme alla Venere allo scopo di accendere l'amore. Esse danzano armoniosamente in cerchio tenendosi per mano e intrecciando le dita simboleggiando  allegoricamente la Castità, la Bellezza e l'Amore. La sensazione di movimento è stata accentuata anche dalle ciocche di capelli che ondeggiano nell'aria e dalla minuscola ombra del monile indossato dalla Grazia raffigurata alla nostra destra. Si può, infatti, osservare che tramite questo espediente è possibile immaginare il sobbalzo del gioiello. 

L'ultimo personaggio raffigurato è Mercurio il dio dei venti che sta allontanando le nubi con il caducèo avvolto da serpi che, secondo la mitologia, sono state divise durante una lotta. Tutto ciò è una chiara allusione alla pace. 

La figura di Mercurio deriva da un passo dell'Eneide di Virgilio, dove si racconta che egli è stato inviato dal padre Giove a Enea per scacciare i venti e le nuvole allo scopo di mantenere la pace nel giardino proteggendolo dalla tempesta. Egli è il messaggero degli dei per questo indossa sandali con le ali. Il boschetto e il prato sono gli elementi che rendono il quadro una sorta di luogo paradisiaco dove sono state riconosciute centotrentotto specie di piante dipinte su fondo scuro come fiordalisi, iris, pervinche, margherite, anemoni, allori, mirto, alberi arricchiti da arance e dai fiori di zagara. Esse alludono al mese di maggio, ossia al periodo primaverile anche del Rinascimento. 

Botticelli avrebbe rappresentato il Giardino delle Esperidi che tra l'altro fu anche il titolo del dipinto riconosciuto negli inventari sei e settecenteschi. Le Esperidi erano le figlie di Atlante che assieme a un drago vigilavano le mele dorate riservate a Venere. Ella ne colse tre per offrirle a Ippomene perché potesse vincere la gara di corsa con Atalanta. Le mele d'oro in età ellenistica venivano anche identificate con gli agrumi. Botticelli seguendo questa interpretazione preferì rappresentare i frutti dai colori accesi simboleggianti l'amore, il matrimonio e la purezza. 

Il dipinto è stato realizzato su un supporto di legno di pioppo e lo stile è caratterizzato dalla presenza di una linea di contorno flessuosa ed elegante che circonda le figure e le stacca dal fondo.

La grazia del disegno, la delicatezza dei colori, la cura per i dettagli e la perizia tecnica con cui è stata realizzata la stesura pittorica, alludono alla purezza dell'amore, come forza motrice della natura.

Sandro Botticelli (Alessandro Filipepi - Firenze 1444-1510) che era figlio di un conciatore di pelli, nel 1464 divenne allievo di Filippo Lippi. Si nota l’influenza del maestro dalla produzione di opere dedicate alla Madonna con il Bambino. Collaborò con lui a Prato per realizzare alcuni affreschi delle “Storie di Santo Stefano” e successivamente stette a bottega del Verrocchio. Inoltre, fu significativo l’incontro con Antonio del Pollaiolo dal quale apprese il linearismo pittorico.

Vi ringrazio

Un caro saluto

Manuela

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