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Machiavellici in quarantena

Come si comporta il machiavellico discendente nel momento in cui si trova a fronteggiare le avverse fortune? Il blasonato erede, che nulla ha in comune con il patriarca, a quali virtù si affida? Cosa accade quando la machiavellica genia si trova a dover gestire un’emergenza? A fronteggiare uno tsunami che minaccia di spazzare via la fragile architettura della sua civiltà? I machiavellici dovrebbero essere edotti e apprestati per fronteggiare l’onda anomala. Il machiavellico sa, o meglio crede di sapere. Ma chi è costui? Giuseppe Prezzolini ce lo presenta dalle pagine del suo Machiavelli: “Ognuno si credeva più furbo del suo compagno, e in questa gara di furberia, di prevenzione, di sottigliezza, di tradimento avveniva come alla gente cerimoniosa dinanzi alle porte spalancate: «passi lei»; «no, passi lei», che finisce per darsi di gomito dove c’è posto per tutti.” Eccoli i machiavellici: gli italici intelletti e sensibilità, chiamati a fronteggiare gli eventi, ad addomesticarli e piegarli affinché entrino, a buon titolo, in una nuova pagina di storia. Coloro che credono che con la “furberia” si possa risolvere ogni questione, fino a domare le umane o naturali minacce. E quando non basta la “furberia”, allora ci si consegna alla sorte: alla dea bendata o al Dio crocefisso.  Questi, i machiavellici: figli illegittimi, che, pur portando lo stesso cognome, non hanno mai conosciuto il loro padre. Forse è giunto il tempo di ricorrere al capostipite. Di interrogarlo. Di porsi in umile ascolto della sua voce: la plebe che ha usurpato e indossato indegnamente per secoli il suo nome, è ora che si affidi alle sue parole: “Nondimanco, perché il nostro libero arbitrio non sia spento, giudico potere esser vero, che la fortuna sia arbitra della metà delle azioni nostre, ma che ancora ella ne lasci governare l'altra metà, o poco meno, a noi. Ed assomiglio quella ad fiume rovinoso, che quando ei si adira, allaga i piani, rovina gli arbori e gli edifici, lieva da questa parte terreno, ponendolo a quell'altra; ciascuno gli fugge davanti, ognuno cede al suo furore, senza potervi ostare; e benché sia così fatto, non resta però che gli uomini, quando sono tempi quieti, non vi possino fare provvedimenti e con ripari, e con argini, immodoché crescendo poi, o egli andrebbe per un canale, o l'impeto suo non sarebbe sì licenzioso, né sì dannoso. Similmente interviene della fortuna, la quale dimostra la sua potenzia dove non è ordinata virtù a resistere, e quivi volta i suoi impeti, dove la sa che non sono fatti gli argini, né i ripari a tenerla.” È  quanto si legge nel capitolo XXV de Il Principe; è ciò che avrebbe detto oggi Niccolò Machiavelli alla sua prole di machiavellici, la quale ne ha avuto di demeriti, ma di sicuro non ha peccato in coerenza: da cinque secoli ha avuto lo stesso atteggiamento nei confronti della storia; si è abbandonato, di volta in volta, nelle mani del “principe” di turno, della fortuna, senza mai tradurre in azioni principi e virtù. Lo sapeva bene lo stesso Machiavelli, il quale continua la sua locuzione, concludendo che “E se voi considerate la Italia che è la sedia di queste variazioni e quella che ha dato loro il moto, vedrete essere una campagna sanza argini e sanza alcuno riparo”. Fino a pochi mesi fa, gli scioperi e le manifestazioni erano all’ordine del giorno per rivendicare un sacrosanto diritto alla salute (e aggiungerei all’istruzione, alla formazione di esperti e professionisti), in quanto il governo minacciava di chiudere diversi presidi sanitari, mettendo in atto tagli indegni di una società civile. Troppo preoccupati di spread e PIL, di “guerre preventive” e di ‘armamenti disarmanti’, e poco attenti all’alto tasso d’incivilimento (alle sociopatie) e di analfabetismo funzionale. Oggi, in piena emergenza sanitaria (e sociale), si cerca di arginarla con palette e secchielli da spiaggia come bambini in lotta contro le onde del mare, che incombono sui loro castelli di sabbia.

E con questa immagine, ergo: che tutto questo che stiamo vivendo ci insegni che non ci possiamo più permettere atteggiamenti da sudditi, ma iniziare a comportarci, finalmente, da cittadini –  nella sua accezione etimologia, quella che affonda le sue radici nella ‘polis’ greca, che ci impone di essere politici, senza delegare, senza farsi trascinare nei ‘gioghi’ dialettici e demagogici dei professionisti della propaganda –; che ci imponga di vigilare ed essere parte attiva in tutto quello che è il bene comune anche a discapito di quello privato  –  è un’equazione matematica: la sfera privata, l’egoistico compiacimento, dipende unicamente dal coefficiente bene-comune.  Non a caso l’autore de Il Principe ammoniva: “variando la fortuna e’ tempi e stando gli uomini ne’ loro modi ostinati, sono felici mentre concordano insieme e, come e’ discordano, infelici”.

   Una grande eredità socio-politica aveva lasciato il padre alla sua figliolanza, ma essa si era accontenta di speculare sui titoli e sui nomi, come una vecchia famiglia nobiliare in disfacimento; come le aristocratiche dinastie di parassiti al tramonto degli imperi. E così il machiavellismo aveva ridotto al silenzio il povero Machiavelli. È avvenuto ciò che già fu a suoi tempi come ci ricorda Prezzolini: “«Il Machiavelli non fa per voi» diceva Alfonsina al figliulo; «Il Machiavelli non fa per voi» ripeteva il cardinal Giovanni; «Il Machiavelli non fa per noi» decisero Giuliano e Lorenzo”. Ecco, «Il Machiavelli non fa per noi» dissero i machiavellici. “E il povero Machiavelli – continua l’autore dell’Italiano inutile – continuava a carezzare, a elogiare, a corteggiare questi stupidi discendenti del furbo Lorenzo [i machiavellici]; a sperare, a sognare, a costruire con la fantasia la sua Italia, romanamente grande e nel mondo temuta. Per lui l’antica virtù non era morta.” Che questa quarantena ci spinga a cambiare pelle: una volta usciti dall’emergenza, auguriamoci che questa marmaglia di machiavellici divenga finalmente un popolo machiavelliano.

                                                                                                                                                Gerardo Magliacano

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