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Euro sì o euro no?

Nei prossimi mesi, si porrà con ancora maggiore insistenza un problema fondamentale: la permanenza italiana all’interno dell’area euro. 
Infatti, si sta verificando una dinamica politica, davvero, imprevista: fino a poche settimane fa, soltanto Grillo e la Lega, solitamente su posizioni marcatamente anti-europeiste, avevano dichiarato il progetto di far uscire il Paese dall’euro, nel caso in cui fossero andati al Governo.
Ora, invece, la situazione è molto più articolata: Cuperlo, rappresentante della minoranza democratica, nel momento di maggiore tensione con il Presidente del Consiglio, nonché Segretario Nazionale del PD, ha riproposto una tesi che non appartiene alla tradizione culturale di quel partito, introducendo dunque una novità di non scarso peso. 
È evidente, infatti, che tutte le manovre di Stabilità, finora realizzate ed, ancora, in fase di attuazione, non sono state in grado di produrre nuovo sviluppo, per cui l’Italia sarà sempre di più una nazione deindustrializzata ed, in particolare, con un sistema economico-finanziario inefficiente. 
Una problematica domina, ormai, nel nostro Paese, impedendo di fatto all’economia di decollare: il debito pubblico, già fuori controllo nonostante i ripetuti interventi dei Governi precedenti. 
Riuscire a ripotare il debito entro margini di normalità sarà operazione sempre più ardua, perché, per quanto si possa tagliare la spesa pubblica, eliminando servizi fondamentali, esso tenderà a crescere, dal momento che la mole di interessi passivi - che maturano annualmente - farà sì che ogni sforzo di rientro sia vanificato dall’ingente somma di danaro, che dobbiamo pagare ai nostri creditori, fondamentalmente investitori internazionali, che hanno acquistato i titoli di Stato. 
Pertanto, è necessaria una svolta, che può maturare solo prendendo in considerazione due strategie, che andrebbero, comunque, concordate con i partners internazionali. 
O si fa ricorso ad una massiccia svalutazione dell’euro, per cui la divisa viene riportata a valori ben diversi, anche nel rapporto con il dollaro, oppure, qualora la Germania non sia interessata a svalutare la moneta europea - oggi molto forte, come lo era un tempo il marco - l’Italia, insieme alle altre nazioni del Mediterraneo, deve seriamente prendere in considerazione l’ipotesi di uscire – almeno temporaneamente – dall’euro, dandosi una divisa (comunque la si voglia chiamare) che consenta agli Italiani di pagare con maggiore serenità il debito sovrano, nel corso anche di più generazioni. 
Qualcuno potrà obiettare che la via della svalutazione è pericolosa, perché può portare gli interessi sui titoli di Stato a tassi che abbiamo conosciuto negli anni ’80, quando l’inflazione era in doppia cifra. 
È un rischio, questo, che va corso: l’ipotesi, secondo cui si possono creare le condizioni per una nuova Weimar, non è peregrina, ma ora è necessario, innanzitutto, riattivare il circuito virtuoso dell’economia nazionale e di quella di buona parte dell’Europa meridionale. 
Ciò è possibile, solamente se il danaro torna in circolazione con adeguata frequenza e copiosità. 
In questo momento, invece, difetta proprio la disponibilità immediata di moneta, visto che le banche, che ne detengono quantità notevoli, preferiscono investire sull’acquisto dei titoli di Stato, piuttosto che immettere danaro nell’economia reale, diventando – per meri interessi egoistici – le principali nemiche dello sviluppo e di una prospettiva di rilancio industriale credibile. 
La svalutazione indurrebbe, chiaramente, una dinamica inflattiva, ma questa sarebbe ampiamente compensata dagli effetti stessi della maggiore circolazione monetaria, dato che il cittadino comune, avendo maggiore agio con una moneta dal valore più vicino a quello della vecchia lira, non percepirebbe in modo vistoso gli effetti finanziari di un eventuale aumento dei prezzi. 
Naturalmente, uscire dall’euro o - comunque - creare una moneta di secondo livello per gli Stati in difficoltà - come Italia, Grecia, Spagna - implica una forte presenza politica italiana al tavolo dell’Unione Europea. 
Nel corso del semestre di guida italiana dell’Europa, saremo capaci di lavorare in tal senso, affinché, entro un orizzonte temporale ragionevole, si arrivi ad un risultato siffatto? 
Peraltro, un’Europa a due velocità sarebbe sempre preferibile all’assenza di una strategia alternativa a quella condotta nel corso dell’ultimo decennio. 
Infatti, una scelta simile costituirebbe la migliore risposta a quanti, demagogicamente, propongono l’uscita tout court dall’euro, conferendo però un valore fortemente anti-europeista ed, addirittura, xenofobo al loro messaggio. 
Altrimenti, ci chiediamo come si possano sconfiggere i vari Le Pen, Grillo, Farage e la destra ultranazionalista, che - nei prossimi anni - cavalcheranno la miseria dilagante per imporre scelte, che non sarebbero meno traumatiche di quella ipotizzata e che, purtroppo, porterebbero i Paesi europei allo scontro politico e, temiamo, addirittura militare. 
Forse, qualche battuta in meno contro la Merkel e maggiori azioni concrete in tal senso, da parte del Premier italiano, potrebbero favorire il miglioramento di una situazione, tendente alla stagnazione. 
Forse, della drammaticità della condizione attuale ce ne accorgeremo, solamente, quando il 51% dei consensi lo raggiungerà - alle prossime elezioni - uno schieramento che, mettendo insieme Salvini, Grillo e Meloni, di fatto creerà le premesse per un Governo capeggiato da una Destra illiberale e nazionalista? 


Rosario Pesce

 

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