E il Monte Pergola guardava … guardava
La nostra estate era fatta di cose semplici, sicuramente più suggestive ed appaganti di oggi : una passeggiata in campagna, l’esplorazione di nuovi sentieri, cogliere qualche mazzetto di origano, soffermarsi per una preghiera al Santuario della Castelluccia, del breve tempo a rinfrescarsi presso quelle due “piscine” (!!!) là in fondo alla strada e che servivano da raccolta delle acque che scorrevano attraverso un cunicolo che arrivava ai piedi della montagna. Sul tardi della giornata, e non sempre, una partitina a calcio sul campetto parrocchiale, ma solo se si era andati alla quotidiana riunione, altrimenti il cancello non si apriva: vero punctum dolens di quel periodo. Lasciamo perdere, anzi mi rincresce che stia ancora nei ricordi ( brutti).
Però la stagione estiva non era fatta di monotonia, come potrebbe sembrare, specie quando incontravamo amici di sempre che erano venuti a trascorrere un pò di vacanze nel paese che li aveva visto crescere, ma che non aveva offerto possibilità di lavoro per farli rimanere. Insomma, ieri come oggi:da questo punto di vista nulla è cambiato. Il lavoro scarseggiava negli anni sessanta, è una chimera ai nostri giorni; i politici ci ingannavano allora (con raffinatezza); con disinvoltura e tanta spregiudicatezza, lo fanno oggi; niente pagavano a quei tempi per le loro malefatte, sono pienamente sereni quando li incastrano ora, anzi ringraziano perché possono fare a meno, finalmente, degli inibitori della serotonina ( antidepressivi).E così è! Risulta a qualcuno che un politico ( meglio politicante) colto sul fatto non sia sereno? Ormai vien da pensare che l’aggettivo sia di esclusivo appannaggio di corrotti e corruttori, ladri, favoreggiatori e figli di…., individui di destra e sinistra, senza trascurare il centro, però, in virtù della tanto decantata par condicio.
Ciao Lucio, speriamo che anche il prossimo anno, quando ci incontri, dirai che sei tornato per l’ultima volta. Noi ti vogliamo sempre vedere e faremo voti presso quella chiesetta dove ti troviamo spesso in preghiera, affinché tu possa dirci le stesse parole ancora per molto. Sai, noi che “vagabondiamo” per mantenerci attivi e respirare aria salubre, là dove non ci sono i market dell’immondizia,di tanto in tanto sciogliamo il gomitolo della memoria sui nostri compaesani vicini e lontani, e che non risiedono più , ormai, a sant’Andrea.
Rodolfo, lo ricordiamo tutti, è stato il tipico esempio di chi con tenacia e laboriosità è riuscito a raggiungere notevoli risultati. Solo, senza una famiglia alle spalle, in quel di Milano, si è fatto strada alla grande. Ha avuto il sopravvento la serietà di un giovane che ha sempre badato al sodo. Io, personalmente, ne conservo un ottimo ricordo e mi auguro di rivederlo spuntare dalle nebbie lombarde, una volta o l’altra.
Ma, tralasciamo altri bravi ragazzi di quel periodo ( era o non era l’educazione ambientale a consolidare saldi principi morali?) e tuffiamoci sull’amarcord che ha inciso, molto positivamente, sul carattere di tanti di noi quindicenni di quegli anni sessanta: Adriano. Incontrato l’altro giorno, ricorre spesso nelle nostre reminiscenze, perché aveva quel qualcosa in più che non si impara sui libri, né si acquista col danaro o si conquista con il potere politico. Era, il nostro carissimo amico, un ragazzo d’oro a quei tempi; lo è maggiormente oggi, da un uomo maturo e professionista di alto livello ( sarebbe una garanzia in più, un valore aggiunto per qualsiasi amministrazione, richiederlo come assessore esterno ) . La sua signorilità non era questione di appartenenza, di benessere o di altro. No, era l’indole ben educata e fortificata alla scuola della famiglia, che lo faceva agire meglio di tutti noi messi assieme, e trasmetteva il suo modus vivendi agli altri che lo recepivano in parte o del tutto. C’è qualcuno che lo ricorda mai fuori le righe? Ebbene, se io dovessi menzionare un aneddoto dove tra di noi si diceva una parolaccia o si era fatta una mancanza a danno di chicchessia, non lo potrei fare. Questa era la buona compagnia di cui oggi c’è impellente bisogno. Tra di noi amicissimi,pecore nere non c’erano, perché s’aveva quasi vergogna di uno sguardo di Adriano, che aveva qualche anno più di alcuni, ma era additato ad esempio anche dai più grandi. E poi, la sua storica abitazione, con il meraviglioso giardino, era un poco di tutti i suoi amici, tanto era ospitale.A casa sua, al suo televisore, abbiamo imparato a conoscere i grossi personaggi del pallone, i veri fuoriclasse del Real Madrid e del Benefica….e della Juve, nostra squadra del cuore. A proposito , diventammo tifosi bianconeri perché lo era Adriano o per Sivori? Ma ben presto ci stancammo di giocare a pallone, o meglio ci fecero smettere di coltivare quella passione, perché nel mentre ci si divertiva a imbottire di gol Ugo e Tonino, storici portieri del paese, senza l’assillo di dover vincere a tutti i costi, si presentava chi accampava diritti nei confronti di noi ragazzi, facendoci rimanere a bocca asciutta, quasi desse fastidio la concordia che rincorreva quei bravi ragazzi da una parte all’altro del campetto. Adriano si dedicò alla bici e divenne un ottimo passista, ma gli impegni di studio non gli permettevano di allenarsi adeguatamente; c’era chi già dava una mano nell’esercizio di famiglia, ancor prima di terminare gli studi; un altro, sempre nel tempo libero, si esercitava nel canto e aspirava a diventare attore di fotoromanzi; Michele coltivava, a livello amatoriale, il tiro a volo e ne divenne un buon elemento, vincendo anche qualche gara . Sai, il nostro amico, pur garbatamente riservato, diventava vanitoso per quella sua gara vinta tra alcuni assi del tiro al volo, al campo S.Leonardo di Salerno, quando aveva ancora i calzoni corti. E poi ? Io che lo vedo sempre, m’accorgo che quando rivolge lo sguardo in lontananza, pensa alla sua abilità tiravolistica che sicuramente va esaurendosi più per mancanza di materia prima con cui esercitarsi, che per l’età che incalza. L’altro giorno l’ho incontrato in compagnia del suo bel nipotino Giovanni e mi ha chiesto di fare un pezzetto di strada fino alle cosiddette piscine. Arrivati sul luogo, ha voluto raccontare ( soffre di nostalgia, perché sostiene che compagni leali, disinteressati e puliti non ne ha più incontrati) quei giorni felici che si trascorreva a tuffarsi e rituffarsi in quella che una volta era acqua cristallina, anche se un po’ troppo freddina. Il ragazzino ascoltava con curiosità fino a quando il nonno arrivò al punto in cui alcuni nostri genitori si presentavano non per rallegrarsi delle abilità natatorie dei figli, ma per sottrarli all’acqua gelida e, soprattutto, riscaldarli adeguatamente. Per questo lavoro il papà del nostro caro Michele occupava il primo posto ed il furbetto del nipotino, che già conosceva il racconto, scoppiò in una di quelle risatine…… di compiacimento.
Ma ad Adriano siamo riconoscenti per tant’altro. Infatti, per il ferragosto arrivava a casa sua una nobile famiglia , con al seguito numerosi bagagli ed un calesse che di lì a qualche giorno ritiravano alla stazione. Il Patriarca della famiglia lo chiamavano “Il Cavaliere”( subito s’era procurato un cavallino per il suo calesse) ed era il papà della signora il cui marito risultava impegnato nel suo lavoro fino a tarda sera. La nobildonna , anche per accudire i due figlioletti, amava portarsi al seguito una damigella di compagnia, che oggi avremmo scambiato per una protagonista di soap.
( Adriano, caro amico, io continuo).
Costei, che definitivamente chiameremo velina, era di bella presenza ed intratteneva spesso il nostro amico con le carte napoletane. Era, dunque, un’appassionata di quel gioco, tanto noto, di cui mi sfugge il nome. In noi ragazzotti subentrò l’amarezza perché Adriano non era più tra noi ad organizzare sempre nuove cose ( il campo sulle selve fu esclusivamente opera nostra); ma ci fu anche curiosità per quel gioco che avremmo voluto imparare anche noi e che scoprimmo, poi, quanto fosse piacevole, accattivante e…..ancor di più. Qualche sporadica occasione si presentava quando il nostro usciva ad allenarsi in bici, perché aveva una gara imminente. E sì, amico mio, anche qualcuno di noi imparò alla men peggio quel gioco ( peccato che non mi sovviene) , anche se eravamo ancora teneri .
Tu, però, potevi allenarti con più assiduità, se effettivamente ci tenevi a risultare vincitore della gara a cui partecipavi. “A carte” c’erano pure i tuoi carissimi amici, che avrebbero accresciuta la stima in te, qualora fossi stato più parsimonioso.
Non ti pare?
Michele Brescia