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Un Paese sull’orlo di una crisi di nervi

È evidente che il Covid, da cui non siamo ancora del tutto usciti in termini sanitari, lascerà una traccia molto profonda su un Paese, come il nostro, che era già in difficoltà prima della pandemia.
Auspicando che l’immunizzazione degli Italiani possa avvenire quanto prima, complici il caldo estivo e l’indebolimento fisiologico del virus dopo due mesi circa di quarantena stretta, è chiaro che le nostre preoccupazioni non possono che riferirsi al quadro socio-economico, visto che molti Italiani andranno in difficoltà, perché la ripresa post-Covid – come abbiamo già scritto altrove – non può rideterminare i flussi economici del pre-crisi.
Peraltro, non possiamo non notare come, per interessi elettoralistici, ci sia chi sta soffiando sul fuoco del disagio, per cui si rischia, in questo modo, di delegittimare non solo chi ora è al Governo, ma in particolare le istituzioni del Paese, che certo non avvertivano il bisogno di un momento storico così triste per noi tutti.
Ed, allora, a chi giova rinfocolare gli animi?
A chi conviene creare le condizioni perché l’ordine pubblico sia mantenuto con molte difficoltà?
In questa crisi mondiale, un po’ tutti – sia pure in forme diverse – siamo delle vittime, per cui è ragionevole evitare toni che possono solo inasprire un odio che non fa bene a nessuno e che, invero, è ingiusto nella misura in cui tutti i ceti sociali hanno, comunque, dovuto rinunciare ad una parte importante dei loro precedenti benefici ed agi.
Inoltre, è sbagliato individuare un nemico, chiunque esso sia.
Le responsabilità per le morti dovranno essere accertate dagli organismi competenti; i cittadini potranno – a fine mandato – premiare o meno l’attuale ceto dirigente nazionale e locale, ma nessuno può giocare con la disperazione dei meno abbienti.
È in gioco la democrazia non solo italiana, ma globale, per cui usare la povertà di molti per creare un sovvertimento politico può essere effettivamente molto pericoloso, perché crea le condizioni di una situazione complessivamente non più gestibile.
Ed, allora, la democrazia torni ad essere sovrana; il Parlamento torni ad essere il luogo di discussione e di composizione civile degli interessi diversi, evitando di essere teatro di inutili e reciproche aggressioni verbali; infine, la classe politica torni a dialogare con i cittadini, rifuggendo populismi e demagogie che non portano ad alcun esito favorevole per nessuno.
Forse, se tutti mireremo nella medesima direzione, usciremo da una crisi che è, certamente, la peggiore dal Secondo Conflitto Mondiale in poi.



Rosario Pesce

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