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Quando c’erano i partiti…

Nei giorni scorsi, il Corriere della Sera ha pubblicato una bella intervista a Claudio Martelli, nella quale l’ex-Vice Segretario Nazionale del PSI ripercorre le tappe salienti del suo percorso, in quel partito, al fianco di Bettino Craxi.
Un percorso, quello descritto da Martelli, fatto ovviamente di successi, sconfitte, di incomprensioni e diversità di opinioni con il proprio leader, insomma di tutto ciò che può sostanziare un rapporto politico a quei livelli, oltreché una relazione umana fra due personalità molto forti, che – sia pure in forme diverse – hanno contribuito a scrivere la storia repubblicana a cavallo fra gli anni Settanta ed i primi anni Novanta del secolo scorso.
Il compromesso storico, l’alternanza, i rapporti con la DC e con il PCI, le stragi di Stato del 1992, Tangentopoli, la mancata riforma delle istituzioni, sono temi che, tuttora, appassionano chi ama la politica e la storia del nostro Paese, visto che molti quesiti, posti allora, sono rimasti insoluti e, tuttora, attendono una risposta da chi è ai vertici parlamentari e governativi.
Ma, oggi la condizione di contesto è molto differente: i partiti, che all’epoca erano padroni assoluti dello Stato, non ci sono più, spazzati via - appunto - dalle indagini delle Procure del biennio 1992/94 e questo dato non aiuta, invero, la soluzione dei problemi che erano ben evidenti già ai tempi della Prima Repubblica.
Venendo meno il ruolo delle formazioni intermedie, quali sono appunto le organizzazioni partitiche, è ineluttabilmente venuto meno quel filtro che è necessario in un Paese, qual è il nostro, che ha un sistema democratico molto giovane e costruito sul principio della rappresentanza.
Ed, allora, come si è sopperito ad una siffatta assenza?
In modo molto semplice, forse addirittura semplicistico: abbandonando progressivamente l’idea di democrazia rappresentativa e tentando di costruire una democrazia diretta, la cui edificazione è – tuttora – parte saliente del problema.
Infatti, almeno a livello di Enti Locali, si è provveduto con legge ordinaria ad introdurre il principio dell’elezione diretta del vertice politico, come nel caso dei Comuni e delle Regioni, per cui si è inflitto un ulteriore colpo a chi ha, invano, tentato di dare ossigeno alla mediazione partitica, finanche in un momento storico non propizio per i partiti stessi.
Ma, una siffatta soluzione non è stata estesa al vertice dello Stato, visto che la Costituzione, almeno nella parte che fissa la forma statuale, non è stata mutata, per cui ci troviamo di fronte a due modelli differenti: una democrazia diretta per gli enti periferici ed una di tipo parlamentare per il Governo nazionale. Fino a quando un simile equilibrio potrà reggere? Fu proprio Craxi, negli anni Ottanta, a lanciare l’idea della grande riforma dello Stato, preconizzando il passaggio ad un sistema istituzionale differente da quello sancito dalla Costituzione del 1948: quel progetto – che invero rimase sempre a livello di suggestione – fu poi fermato con il crollo del leader socialista e, con lui, del suo partito.
Oggi, è fattibile un passaggio ad un modello di Repubblica forgiato su quello francese o su quello statunitense?
Forse, molti sono i punti interrogativi, che dovremmo porci, ma è altrettanto vero che i problemi di natura costituzionale del nostro Paese non si risolvono con una sforbiciata di deputati e senatori, visto che la riduzione degli stessi non fornisce le opportune risposte alle problematiche ataviche del nostro Paese.


Rosario Pesce

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