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V(u)oti a perdere

La democrazia degli Altri, “le ragioni della minoranza”

 

“Dice che era un bell'uomo e veniva, / veniva dal mare / parlava un’altra lingua, / però sapeva amare”, cantava Lucio Dalla nella canzone il 4/3/1943. Chissà se il 4 marzo 2018 verrà dal mare… uscirà dalle urne un “bell’uomo”, che parli “un’altra lingua” e che sia capace di “amare”. Bèh, che sia bello o brutto, uomo o donna, poco importa, ciò che ci auguriamo è che finalmente parli un’altra lingua, che non sia il ‘politichese’, e soprattutto che sia in grado di amare, in senso etimologico, di provare un amore scevro di qualsiasi retorica e tornaconto. Una persona che ci restituisca prima di tutto il vero significato delle parole, che ci riporti alla radice del linguaggio, quello al servizio del pensiero e non assoggettato a del mero e becero opinionismo. Quello funzionale alle idee e non alle ideologie, abusate dalla propaganda. Una lingua in cui ‘politica’ torni a significare ‘insieme’ e la democrazia non sia potere di una maggioranza assoggettata a delle oligarchie, ma di un popolo che sappia riconoscersi anche nelle minoranze, capace di ascoltarne il sussurro contro il frastuono dei molti, dei troppi.

  Nelle ultime settimane c’è stata, come da decenni ormai, la fiera dei sondaggi. I mass media ne hanno dato ampia diffusione, in modo tale da informare, trasversalmente, l’elettorato italiano. E si sa, come diceva Tocqueville, “La democrazia è il potere di un popolo informato.” Pertanto, affinché Esso, il Popolo, possa esercitare  il suo potere in cabina elettorale, la televisione, soprattutto, e i giornali l’hanno tenuto bene informato. In tal modo, grazie ai sondaggi, il popolo è riuscito a sapere che i candidati a rappresentarlo saranno al massimo sette o otto, e tali i partiti predisposti a tale funzione. Ma che alla fine si riducono a tre: i soliti noti.  Solo di uno schieramento non si è riusciti a capire chi sia il candidato premier, ovvero  degli Altri (a dire il vero, da quanto riferiscono i sondaggisti, non si è ancora compreso se si tratti di Altri, Altro o Altre).

   C’è un altro dato, un’altra statistica che riguarda il popolo italiano: stando ai dati OCSE, la metà degli italiani è afflitta da “analfabetismo funzionale”, primi in Europa: poi dicono che noi non abbiamo primati! Ad ogni modo, facciamo finta di far parte di quella metà –  e forse analfabeti funzionali, oggi, lo siamo un po’ tutti – oserei dire che, leggendo i sondaggi, tre sono i voti ‘funzionali’ (centro-sinistra, centro-destra e  ‘ex-centrico’),  gli altri sono voti a perdere. Con una tale lettura, almeno il 50% degli italiani è stato indotto a scegliere uno degli schieramenti della ‘triplice’.  Se ora si provasse a decifrare le statistiche, passando dalla parte degli alfabetizzati, sarebbe il caso, imprescindibile, di sapere chi si cela dietro gli Altri. Quante sono le liste, i partiti candidati a rappresentare il Popolo Sovrano. Conoscerli tutti, prima di esprimere il proprio voto. Stando ai dati, il ministero avrebbe esaminato ben 103 simboli, ammettendone solo 75.  Si comprende che sarà una fatica, ma il dovere del voto impone di esaminare nel dettaglio tutte le liste e i loro relativi programmi, prima di prendere una decisione. Il voto non è un aut-aut, un semplice affidarsi a chi ha la voce più alta e robusta: democrazia è partecipazione alla costruzione di una governabilità. E se i mass media non li palesano adeguatamente, è d’obbligo andare alla loro ricerca. È importante dare nome e voce anche agli Altri, perché in essi potrebbe annidarsi il seme da coltivare per un rigoglioso raccolto in futuro, per una società migliore domani. Non è il nostro presente che deve starci a cuore, ma è il futuro dei nostri figli. Implicitamente, si sta tentando di veicolare il messaggio che la maggioranza rappresenti una sorta di assicurazione sul presente, ma potrebbe configurarsi come una frode in futuro, mentre gli Altri potrebbero garantirlo. Pertanto è  giocoforza non presentarsi il 4 marzo alle urne come, direbbe Musil,  un “Uomo senza qualità” per “ Noi [che] siamo l'epoca della scheda elettorale! – sosteneva lo scrittore austriaco nell’omonima opera –  Il tempo presente è antifilosofico e vile; non ha il coraggio di decidere che cosa ha valore e che cosa non ne ha, e democrazia, per dirlo con la massima concisione, significa: 'Fai quello che accade!'”. Facciamo invece accadere quello che è in nostro potere, quello che siamo ancora capaci di fare in quanto popolo. Cerchiamo di evitare che il nostro Paese ristagni in un “regime democratico”, quello, come sosteneva Norberto Bobbio, in cui vige il “voto di scambio, il voto […] orientato verso gli output, o, per usare una terminologia più cruda, ma forse meno mistificante, clientelare, fondato se pure spesso illusoriamente sul do ut des”. Il modo più rapido e anestetizzante per trasformare la democrazia in un regime: cerchiamo, invece, di garantire un domani, il bobbiano “futuro della democrazia”. A tal fine è necessario dare spazio e voce agli Altri, alle minoranze, affinché il popolo possa esercitare la sua sovranità. E non si tratta di sterile idealismo, ma di un ponderato pragmatismo. Alla stregua del suo maggiore esponente, il filosofo John Dewey, il quale ci ha avvisato che sarebbe da  stupidi “escludere le idee fruttifere della minoranza” e trattarle come non necessarie. Le minoranze sono il sale delle civiltà, quelle più avanzate, e la linfa vitale delle democrazie, che la preservano da qualsiasi minaccia di deriva totalitaristica. Oggi più che mai, tra soglie di sbarramento e l’anonimia degli Altri, c’è il pericolo di annichilire la democrazia e ridurla a parola vuota, priva di qualsiasi peso e funzione, asso nella manica di bari e oppressori. È il caso, forse, di sostenere, empiricamente,  la medesima verità di Einstein: “la certezza che l'umanità non progredirebbe e degenererebbe senza una minoranza.” Perché la maggioranza, per sua natura, non è garanzia di oggettività e di giustezza: non è il numero che fa la differenza, che dà valore a una tesi, ma è la qualità delle argomentazioni, rigore e inconfutabilità. È l’atteggiamento scientifico nell’avanzare proposte e idee. “Se la maggioranza si crede infallibile – scriveva in un articolo del 1948 Piero Calamandrei – solo perché ha per sé l'argomento schiacciante del numero e pensa che basti l'aritmetica a darle il diritto di seppellire l'opposizione sotto la pietra tombale del voto con accompagnamento funebre di ululati, questa non è più una maggioranza parlamentare, ma si avvia a diventare una pia congregazione, se non addirittura una società corale, del tipo di quella che durante il fatidico ventennio dava i suoi concerti nell'aula di Montecitorio. […] Chi dice la maggioranza ha sempre ragione, dice una frase di cattivo augurio, che solleva intorno lugubri risonanze; il regime parlamentare, a volerlo definire con una formula, non è quello dove la maggioranza ha sempre ragione, ma quello dove sempre hanno diritto di essere discusse le ragioni della minoranza.”

   Che il 4 marzo 2018 si possa finalmente cantare: “Dice che era un uomo [saggio] e veniva, / veniva dalla [cabina elettorale] / parlava un'altra lingua, / [e] sapeva ascoltare” le voci degli Altri, “le ragioni della minoranza”.

Gerardo Magliacano

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